Avvocati e ICT. Sì alle banche dati no al cloud

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La digital transformation che coinvolge in genere tutto il mondo dei professionisti non risparmia gli avvocati, soprattutto quando si parla di strategie tecnologiche in grado di semplificare i processi e favorire nuove opportunità di crescita.

A focalizzare l’attenzione sul rapporto tra i professionisti legali e il mondo IT è un recente studio Giuffrè Editore (dati Doxa su 400 studi legali) il quale ha cercato di scattare una fotografia dettagliata sull’utilizzo delle risorse digitali da parte degli studi italiani.

In un mercato del lavoro dove prevalgono di studi individuali (l’80% del campione), con un grado di specializzazione medio-alto, in aree del diritto che riguardano soprattutto la responsabilità civile e le assicurazioni (nel 62% degli studi intervistati), la famiglia e la successione (59%), le obbligazioni e i contratti (52%), la proprietà, la locazione e il condominio (48%), l’utilizzo di strumenti e supporti digitali per la gestione dello studio e l’esercizio della professione sta diventando una necessità.

Per quanto riguarda le banche dati per la consultazione di leggi e sentenze – si legge nella ricerca –  ammonta all’83% la percentuale degli studi che nel 2016 ha utilizzato questi database con un incremento di oltre 20 punti percentuali in poco più di 10 anni  e con livelli di soddisfazione molto alti (si dichiarano molto e abbastanza soddisfatti il 90% degli intervistati). Chi non utilizza le banche dati effettua le ricerche nei motori di ricerca e su siti gratuiti, utilizza strumenti più tradizionali come i codici commentati e le guide al diritto cartacee oppure chiede aiuto ad altri studi e colleghi.

Anche i cosiddetti software redattori, che consentono la creazione della busta telematica e il deposito in cancelleria degli atti giudiziari, sono entrati nella pratica quotidiana degli avvocati italiani. Ormai solo una parte residuale di studi non dispone di un software per il deposito telematico: nel 2016 sono stati utilizzati dal 94% degli avvocati, con un incremento della diffusione di oltre il 7% dal 2014, l’anno in cui è stata sancita l’obbligatorietà del deposito telematico degli atti nei processi civili. L’utilizzo si divide tra i software gratuiti (43% nel 2016) e quelli a pagamento (57%), con una spesa media per quelli a pagamento di poco superiore ai 300 euro. Quasi il 40% degli intervistati desidera software per la redazione dell’atto in grado di verificare gli orientamenti del giudice e del tribunale, la consultazione di leggi e sentenze e che sia quindi integrato con una banca dati aggiornata.

 Una certa diffidenza da parte dei professionisti avvocati, invece, riguarda le potenzialità del Cloud per l’archiviazione e la gestione dei dati e dei contenuti dello studio legale: il 41% degli intervistati manifesta il timore di non poter garantire la riservatezza dei dati e di incorrere in rischi legati al cybercrime.