Professionisti, sempre più un valore per l’Italia

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Le professioni sono “il corpo vitale” del nostro paese. E’ questo il dato che emerge dal secondo rapporto Cup-Cresme (in allegato). Ma non solo.  Per i ricercatori, nonostante la crisi economica che ha interessato il Paese a partire dal 2008, le professioni continuano ad essere attrattive per i giovani italiani. Sono infatti oltre 2,3 milioni i soggetti iscritti agli albi a fine 2016, praticamente 38 ogni mille abitanti, quasi 680 mila in più di quanto si registrava nel 2000.

Per questo motivo, per la Presidente del CUP, Marina Calderone, è “importante ribadire l’autonomia delle professioni, il valore sociale del loro impegno, ma soprattutto quelle che sono le proposte per un Paese che deve valorizzare i corpi sociali intermedi” e  tra queste è importante anche “Introdurre nel Def una norma per rafforzare l’equo compenso per i professionisti italiani, specie in favore dei più giovani, considerato anche la ricchezza prodotta dall’intero comparto professionale che si aggira intorno ai 77 miliardi di euro, quasi il 6% del Pil regolare nel 2016”.

 

Il contributo all’economia italiana

“Per misurare il contributo di tutte le professioni regolamentate all’economia italiana  – si legge nel rapporto – si deve tenere presente che, sulla base delle informazioni raccolte presso le Casse previdenziali e l’Agenzia delle entrate, nel 2016 gli oltre 1,2 milioni di professionisti iscritti agli albi aderenti al CUP hanno generato un valore aggiunto complessivo stimato nell’ordine di 42 miliardi di euro, corrispondente ad un valore della produzione che supera i 55 miliardi, un dato che, nonostante la ripresa anemica dell’economia nazionale, si è mostrato in costante crescita nell’ultimo biennio (+2,6% nel 2016 e +1,1% nel 2015 a valori costanti, da confrontarsi con la crescita del Prodotto Interno Lordo che nello scorso biennio non è andata oltre l’1% annuo).

 

Si tratta di un valore sicuramente considerevole e che rappresenta il 3,2% del Pil nazionale (qui considerato nella sua componente regolare, ovvero, al netto della stima dell’economia sommersa). Una stima più esaustiva richiederebbe, tuttavia, di considerare nel calcolo tutto il mondo delle professioni ordinistiche, ovvero di includere anche le professioni tecniche (ingegneri, chimici, geologi e 6% è il contributo di tutte le professioni regolamentate (incluso tecnici, medici e farmacisti) alla produzione di ricchezza nazionale. Così facendo si arriverebbe ad un valore economico complessivo che si aggira intorno ai 77 miliardi di euro, quasi il 6% del Pil regolare nel 2016.

 

Il contributo all’occupazione

Incrociando diverse fonti informative e utilizzando i risultati dell’indagine campionaria CUP/Cresme sulla dimensione degli studi professionali in termini di addetti, è possibile stimare la dimensione occupazionale relativa al settore delle professioni aderenti al CUP. Si trova che sono circa 300mila gli studi professionali italiani nel 2016, e che essi hanno occupato circa 1,3 milioni di addetti, tra soci, collaboratori esterni e dipendenti. Considerando anche gli iscritti agli albi che svolgono la professione come dipendenti al di fuori degli studi professionali, nel SSN, ad esempio, o nel settore privato, si arriva ad una stima occupazionale per le sole professioni aderenti al CUP pari a quasi due milioni di addetti (1,91 milioni), corrispondente all’8,4% dell’occupazione complessiva valutata nella media del 2016. A questi andrebbe però aggiunto almeno un altro milione di addetti relativo alle altre professioni regolamentate (professioni tecniche non aderenti al CUP), per un totale stimato che si aggirerebbe intorno ai 2,9 milioni di addetti, corrispondente al 12,6% del totale degli occupati.

 

Da sottolineare e consigliare la lettura dei paragrafi che prendono in esame le singole categorie, “Commercialisti italiani: tra digitalizzazione e multiculturalità” oppure “La necessità di un nuovo patto generazionale: i Consulenti del Lavoro depositari del diritto del lavoro applicato”, “La crisi dell’editoria, i rischi della disintermediazione e la crisi della professione giornalistica” o “La professione infermieristica: la necessità di un nuovo modello assistenziale”.