Per gli italiani il successo arriva oltre confine

607

Due italiani su tre si trasferirebbero molto volentieri all’estero nella speranza di trovare maggiore successo professionale ed un miglior equilibrio tra vita privata e lavoro. Questo è quello che emerge dall’ultima edizione del Randstad Workmonitor, l’indagine trimestrale sul mondo del lavoro condotta da Randstad, in 34 Paesi del mondo su un campione di 405 lavoratori di età compresa fra 18 e 67 anni, che svolgono la propria attività almeno 24 ore alla settimana e percepiscono per questa un compenso economico.

E se da una parte la ricerca sottolinea come l’intraprendenza e la consapevolezza da parte degli italiani di un mondo del lavoro sia sempre più globale dall’altra mette in luce come il desiderio di lavorare all’estero rappresenta anche una spia di allarme sulle opportunità offerte dal mercato italiano.

Certo è, e l’allarme viene lanciato da più organismi di ricerca e da settori importanti della politica nazionale e internazionale, che un’eccessiva emigrazione dei profili migliori rischia di tradursi in un impoverimento sociale ed economico del paese di appartenenza, Italia in primis.

Vediamo più nel dettaglio i dati rilevati.

Italiani all’estero per lavoro 

I lavoratori italiani non hanno paura di lasciare il loro Paese per trovare condizioni lavorative migliori. Sono, infatti, i primi in Europa per propensione a spostarsi in maniera stabile altrove.

Il 67% degli intervistati ha dichiarato che emigrerebbe senza problemi se gli fosse garantito un avanzamento di carriera e un miglior work-life balance.

Una percentuale minore, ma non di tanto, prenderebbe in considerazione l’idea di trasferirsi a fronte di un notevole aumento di stipendio (64%). Mentre il 57% degli intervistati è alla ricerca di una carriera più soddisfacente.

Dove vorrebbero andare i lavoratori italiani

Appurato che gli italiani si trasferirebbero all’estero per affrontare una carriera professionale migliore, una domanda nasce spontanea: quali sono le mete preferite? Queste le destinazioni europee:

Il 9% andrebbe in Germania;

L’8% in Francia, Svizzera e Spagna;

Il 7% nel Regno Unito;

Il 4% in Austria;

Il 3% in Belgio.

Per quanto riguarda, invece, i Paesi oltreoceano, vincono gli Stati Uniti con il 6% delle preferenze. A seguire ci sono Australia (5%) e Canada (3%). A livello globale sono gli Stati Uniti a raccogliere più voti, col 10% delle scelte, seguiti da Germania (8%), Regno Unito (7%), Australia (7%), Canada (6%), mentre soltanto il 3% dei lavoratori mondiali verrebbe in Italia.

Cosa pensano gli italiani della diversità culturale al lavoro

Gli italiani sono propensi ad aprirsi ai lavoratori stranieri, consapevoli ormai che il mondo del lavoro sta diventando sempre più globale. Il Randstad Workmonitor, evidenzia che l’80% dei dipendenti del nostro Paese ammette di voler lavorare con persone di diverse culture e il 74% crede che sia importante assumere personale dall’estero se mancano le competenze necessarie.

I giovani sotto i 25 anni sono il segmento meno favorevole alla presenza di dipendenti stranieri, soprattutto se qualificati, con percentuali lontane dalla media nazionale (rispettivamente 73%, 59% e 51%).

Scarsa fiducia nelle opportunità del mercato italiano

In questo scenario, però, si inserisce un dato meno felice. Gli italiani non hanno fiducia nelle opportunità professionali del mercato del loro Paese. Quasi un italiano su due, infatti, preferisce emigrare piuttosto che cambiare carriera, cinque punti in meno della media globale, ma ben sette in più della media europea. Infine, il 57% degli intervistati accetterebbe di trasferirsi all’estero se l’azienda italiana glielo chiedesse, pur di non perdere il proprio posto di lavoro.

Work-life balance ed employer branding

Nelle aziende più virtuose questa conciliazione finisce per diventare un elemento distintivo nel sistema di employer branding, ossia quei meccanismi di attrazione e retention dei talenti, oltre che come fattore di benessere organizzativo in grado di migliorare la produttività aziendale.
Chi lo sostiene? Ad esempio una ricerca dell’Università Liuc di Castellanza sul livello di engagement dei dipendenti italiani, che mette il bilanciamento tra vita privata e lavoro al secondo posto come fonte di motivazione dei lavoratori, dopo la sicurezza dell’impiego. Valore confermato anche dalla ricerca sull’attrattività delle imprese in Italia effettuata dall’istituto di ricerche Icma per conto di Randstad e propedeutica all’assegnazione del Randstad Award: lo stipendio è la motivazione principale alla base della scelta o del cambiamento di un posto di lavoro, ma il work-life balance è la prima ragione per restare nell’azienda dove si lavora secondo il 44% degli italiani, seguita dall’apprezzamento del lavoro attuale (36%) e dalle buone condizioni economiche (26%).