Le scelte strategiche di allocazione del patrimonio delle Casse non perseguono scopi speculativi ma sono improntate ai criteri di prudenza, rendimento, salvaguardia e garanzia delle prestazioni future agli iscritti. Linee guida che hanno spinto alcune Casse, come emerge dal IV report appena pubblicato, a valutare per i propri investimenti aspetti di natura ambientale, sociale o di governance, oltre il profilo di rischio e rendimento.
D’altronde, il mondo della finanza sta attribuendo sempre più valore agli investimenti ESG (Environmental, Social, Governance), e secondo l’Onu, la Ue, i principali economisti e le banche centrali la sostenibilità non è più una nicchia tra la filantropia e l’ambientalismo ma è il nuovo traguardo dell’economia mondiale e sta generando investimenti per 59mila miliardi di dollari.
Per la Global sustainable investment association (Gsia), gli investimenti mondiali in società reputate sostenibili dal mercato sono passati dai 21.400 miliardi di dollari del 2014 ai quasi 40.000 miliardi nel 2017.
La sostenibilità economica, sociale e ambientale sta generando valore tangibile ed è al centro delle attenzioni del Legislatore, come dimostra l’entrata in vigore (con il decreto legislativo 254/2016) della direttiva Ue 2014/95 sulla comunicazione di informazioni di carattere non finanziario che si applica agli enti di interesse pubblico, con oltre 500 dipendenti, che fatturino almeno 40 milioni o con uno stato patrimoniale di oltre 20 milioni: quindi, ad esempio, anche tutte le banche e le assicurazioni nei limiti dimensionali circoscritti e le società di gestione del risparmio e intermediazione mobiliare. Pur non applicandosi direttamente alle Classe influisce sulla scelta delle politiche di investimento.
La direttiva 2014/95/UE identifica nelle informazioni di natura ambientale, sociale (rispetto diritti umani, gestione del personale, politiche di non discriminazione) quelle aree per le quali le società saranno tenute a divulgare notizie circa le politiche adottate, e gli investimenti che integrano tali fattori nell’analisi tradizionale vengono denominati investimenti ESG.
Ecco allora alcuni esempi “virtuosi”
INARCASSA al 2017 ha investimenti in titoli classificabili ESG una quota del patrimonio pari a circa 472 milioni di euro.
ENPAM ha destinato una quota fino al 5% della sua asset allocation (circa 1 miliardo di euro) ad investimenti correlati alla propria missione istituzionale e in grado di generare ricadute positive sulle professioni degli iscritti e quindi sull’economia reale. Inoltre, la Cassa dei medici e degli odontoiatri, ha avviato un monitoraggio del patrimonio complessivo, che ha messo in mostra una rispondenza ai parametri ESG più elevata rispetto alla media del mercato. In particolare, prendendo in considerazione i cinque principali indici ESG su Bloomberg (Sustainalytics ESG, Bloomberg ESG disclosure score, Iss, Esg governance, Carbon disclosure project), il patrimonio ENPAM ha una valutazione di 7/10.
Un altro esempio decisamente virtuoso è quello dell’ENPAP, la Cassa degli Psicologi, che ha una quota importante del proprio patrimonio (pari al 46% del totale, per un controvalore di oltre 576 mln di euro) investito in fondi selezionati anche tenendo conto della effettiva implementazione, nei rispettivi processi di investimento, dei criteri “ESG”.
Cassa Forense, infine, svolge una valutazione di sostenibilità del portafoglio dei Fondi liquidi dell’Ente; a giugno 2018 gli AUM complessivi valutati sotto il profilo ESG sono il 58% degli oltre 4 miliardi in gestione. Di questi il 12%, pari a circa 504 milioni di euro, presentano un portafoglio titoli che supera ampiamente la verifica dei principi ESG e dell’indice delle controversie.
I titoli nei quali sono investite le risorse tengono in considerazione il comportamento dell’azienda nei confronti dell’ambiente (rispetto a fattori quali cambiamenti climatici, emissioni di CO2, inquinamento dell’aria e dell’acqua, gli sprechi e la deforestazione), del sociale (rispetto a fattori quali politiche di genere, i diritti umani, gli standard lavorativi e i rapporti con la comunità civile) e delle pratiche di governo societario, (rispetto a fattori quali le politiche di retribuzione dei manager, la composizione del consiglio di amministrazione, le procedure di controllo, i comportamenti dei vertici e dell’azienda).