La Formazione è davvero la soluzione per superare il mismatch tra competenze e offerta di lavoro ed è davvero uno strumento fondamentale per entrare in maniera qualificata e qualificante nel mondo del lavoro? Da più parti la risposta ai due quesiti è sì.
Così dopo industria 4.0 oggi si parla di Formazione 4.0…ma non per tutti.
La stessa legge di Bilancio (l. n. 160/2019, articolo 1, commi 210-217) contiene la proroga del bonus formazione 4.0 che stabilisce l’agevolazione anche per le spese di formazione del personale sostenute nel periodo d’imposta successivo a quello in corso al 31 dicembre 2019, ne ha rivisto la disciplina dettata dall’articolo 1, commi da 46 a 56, della legge di Bilancio 2018 (l. n. 205/2017), eliminando il vincolo dell’accordo sindacale aziendale o territoriale, che secondo le associazioni imprenditoriali ha rappresentato il principale ostacolo per l’accesso al beneficio fiscale.
Un bonus che include anche i professionisti ma, come chiarisce l’Agenzia delle Entrate, “l’estensione dell’agevolazione opera esclusivamente in relazione al credito di imposta del 6% e non a quello del 40% (beni volti alla trasformazione tecnologica e digitale secondo il modello Impresa 4.0 o investimenti in beni immateriali connessi a investimenti in beni materiali Industria 4.0)”.
Una formazione, quindi, che esclude skill importanti come l’uso delle ICT per un “settore” che nel nostro Paese e in Europa è considerato, e a ragione, un valore aggiunto, sia economico sia culturale.
Secondo l’OCSE circa il 24% dei lavoratori, media tra diplomati e laureati 2015-2018, è overeducated. Al fenomeno dell’overeducation è collegato proprio lo skill mismatch ossia il gap tra le competenze che si hanno e quelle che sono e saranno sempre più richieste nel mondo del lavoro per determinati tipi di professioni.
Un mismatch che nasce spesso dal disallineamento che c’è tra la formazione universitaria e il mondo del lavoro, in sostanza possiamo dire che la formazione non è allineata con le esigenze delle aziende in quanto a formazione e specializzazioni ma, soprattutto, la scuola superiore e per in alcuni campi la stessa università non sono più il traino verso l’innovazione e verso la specializzazione, spesso chi conclude il proprio ciclo di studi si porta dietro un gap formativo che non gli permette di essere immediatamente operativo nel momento in cui entra in azienda.
E neppure a dirlo, questo gap lo si riscontra maggiormente in ambito digitale, tecnico, tecnologico.
Per ovviare a questo gap molte grandi aziende si stanno organizzando o si sono già organizzate con academy interne dove ai neoassunti viene dato un aggiornamento della formazione per allinearlo alle esigenze specifiche dell’azienda supportando la riqualificazione del personale interno per gestirne la ricollocazione.
Ma sia le piccole e medie imprese sia i professionisti o le società tra professionisti, nella maggior parte dei casi, non hanno la possibilità di garantire questa formazione alle risorse o a se stessi.
Eppure, nel 2018 , secondo la ricerca “Le competenze digitali in Italia – Come orientarsi in un mondo del lavoro in continua evoluzione” condotta in collaborazione con Nesta Italia e sviluppata nell’ambito del Master Talent Garden in Digital Transformation, che Intesa Sanpaolo sostiene in qualità di Main Partne, sono state quasi 345mila le richieste di lavoro pubblicate sul Web che richiedevano specifiche competenze digitali, prevalentemente dal Nord Italia.
Tra le skills più richieste compare l’analisi dati (expertise presente in oltre 40 tipologie di occupazioni) seguita dalla confidenza con i programmi informatici di base e la capacità di programmazione informatica.
Ferma la formazione fermi i redditi e le retribuzioni per le professioni più qualificate. E’ quanto si legge nell’ottava edizione dell’Hays Global Skills Index, report annuale pubblicato da Hays in collaborazione con Oxford Economics.
Prendendo in esame i mercati del lavoro di 34 economie a livello mondiale (Italia compresa), sulla base di sette principali indicatori attraverso cui ottenere un punteggio nazionale, il rapporto mostra come l’Overall Index Score sia rimasto invariato rispetto al 2018.
Il divario salariale tra professioni ad alta e bassa competenza è al più alto livello in cinque anni: si pagano salari più alti per le skills di cui ha bisogno e che scarseggiano.
L’indicatore Talent Mismatch in Italia rimane alto a 8,5, ulteriore prova che i datori di lavoro si trovano ad affrontare gravi difficoltà nella ricerca di professionisti altamente qualificati, specialmente nei settori tecnici.
Eppure, si legge sempre nello studio “Si registra anche sottoccupazione e gap di competenze nei diversi paesi, anche a causa del repentino sviluppo tecnologico, che porta i datori di lavoro ad avere maggiori difficoltà nel reperire risorse qualificate”.
Infine, secondo il Fondo Monetario Internazionale, sarebbero proprio gli sviluppi tecnologici a causare, per il 50%, il calo della partecipazione al mercato del lavoro. Non solo: ormai ad alti livelli di occupazione non corrispondono più ad un aumento delle retribuzioni.
Permane anche un certo divario di genere ma di questo ne abbiamo già più volte parlato ed evidenziato anche nell’ultimo report annuale dell’AdEPP pubblicato lo scorso dicembre e reperibile sul sito www.adepp.info.