Pubblicato il Rapporto Ocse “Pensions at a Glance 2021”

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E’ stato pubblicato, nei giorni scorsi, il  rapporto dell’Ocse “Pensions at a Glance 2021” che prende in esame i sistemi pensionistici dei 38 Paesi che aderiscono all’Organizzazione e, in particolare, di alcuni Paesi del G20.

L’invecchiamento sempre più rapido della popolazione e l’incidenza dei costi previdenziali sul Pil dei singoli Paesi sono tra le principali evidenze del rapporto. Il focus dedicato all’Italia sottolinea come, nel nostro Paese, questi due aspetti siano più accentuati rispetto agli altri Stati anche a causa delle ultime “riforme” che hanno consentito uscite anticipate dal mercato del lavoro.

“Negli ultimi due anni – si legge nel focus – sono state estese in Italia le opzioni di pensionamento anticipato, allargando i parametri tra età pensionabile e aspettativa di vita. Tra il 2019 e il 2021, “Quota 100” ha permesso di andare in pensione a 62 anni, vale a dire in anticipo di cinque anni rispetto all’età pensionabile prevista dalla legge (ndr Riforma Fornero), avendo versato 38 anni di contributi, senza aadeguare completamente le prestazioni in modo attuariale. In base all’accordo con le parti sociali dell’ottobre 2021, questa opzione di pensionamento anticipato dovrebbe essere prolungata per il 2022, elevando tuttavia il requisito dell’età a 64 anni (Quota 102). Quota 100 ha facilitato l’accesso ai diritti pensionistici, rispetto ai criteri vigenti in precedenza secondo i quali il pensionamento anticipato era subordinato al requisito di contribuzione di 42,8 anni per gli uomini e di 41,8 anni per le donne. Oltre all’Italia, solo la Spagna permette di accedere ai pieni diritti pensionistici prima dell’età pensionabile legale con meno di 40 anni di contributi, mentre il Belgio richiede 42 anni, la Francia 41,5 anni e la Germania 45 anni. In Italia, inoltre, esiste anche un’opzione alternativa per andare in pensione anticipata a 64 anni con 20 anni di contributi”.

In Italia attualmente il reddito relativo delle persone anziane si attesta su livelli elevati

In Italia, il reddito medio degli ultrasessantacinquenni è simile a quello della popolazione totale, mentre è inferiore in media del 12% rispetto alla zona OCSE e del 15% rispetto all’Italia di 20 anni fa. Al contempo, la disparità di reddito e il tasso di povertà relativa tra gli anziani si sono allineati al valore mediano dei Paesi dell’OCSE, con il notevole calo del tasso di povertà in età avanzata registrato in Italia negli ultimi decenni. Durante la crisi da COVID-19, le pensioni non sono diminuite e i diritti pensionistici hanno continuato a maturare completamente anche per i lavoratori in Cassa Integrazione, in modo analogo a quanto accaduto per altri Paesi dell’OCSE.

Forti legami automatici all’aspettativa di vita

Con l’introduzione di un regime pensionistico nozionale a contributi definiti (NDC) nel 1995, l’Italia ha compiuto un passo decisivo per affrontare le sfide poste dal rapido invecchiamento della popolazione. Il regime NDC italiano (Nationally Determined Contributions ossia i contributi determinati a livello nazionale) adegua le prestazioni all’aspettativa di vita e alla crescita economica. In ragione di una lunga transizione, il regime sarà pienamente efficace solo intorno al 2040. Tra i sei Paesi dell’OCSE con regimi NDC, solo la Svezia dispone di un meccanismo automatico aggiuntivo che garantisce un bilancio pensionistico equilibrato nel tempo. Secondo l’OCSE, il regime italiano trarrebbe vantaggio da una maggiore trasparenza nel calcolo delle prestazioni NDC e da un monitoraggio e una gestione migliori della solvibilità a lungo termine. L’Italia figura anche tra i sette Paesi dell’OCSE che collegano l’età pensionabile prevista per legge alla speranza di vita. In un regime NDC tale legame non è necessario per migliorare le finanze pensionistiche, ma mira a evitare che le persone vadano in pensione troppo presto con pensioni troppo basse, nonché a promuovere l’occupazione in età più avanzata. In Italia, il requisito di futura età pensionabile “normale” è tra i più elevati, con 71 anni di età, con la Danimarca (74 anni), l’Estonia (71 anni) e i Paesi Bassi (71 anni), contro una media OCSE di 66 anni per la generazione che accede ora al mercato del lavoro.

Prolungamento delle opzioni di prepensionamento

Negli ultimi due anni sono state estese in Italia le opzioni di pensionamento anticipato, fornendo una soluzione al legame tra età pensionabile e aspettativa di vita. Tra il 2019 e il 2021, Quota 100 ha permesso di andare in pensione a 62 anni, vale a dire in anticipo di cinque anni rispetto all’età pensionabile prevista dalla legge, avendo versato 38 anni di contributi, senza adeguare completamente le prestazioni in modo attuariale. In base dell’accordo dell’ottobre 2021 con le parti sociali, questa opzione di pensionamento anticipato dovrebbe essere prolungata per il 2022, elevando tuttavia il requisito dell’età a 64 anni (Quota 102). In Italia esiste anche un’opzione alternativa per andare in pensione anticipata a 64 anni con 20 anni di contributi. Tale possibilità si traduce, tuttavia, in prestazioni sostanzialmente più basse perché interamente basate sulle regole NDC, mentre le pensioni NDC e a prestazione definita sono proporzionali quando si va in pensione all’età pensionabile prevista per legge (secondo il regime Quota 100 o Quota 102). Le pensioni a prestazioni definite – e quindi proporzionali – sono più alte rispetto a quelle basate esclusivamente sulle regole NDC.

I tassi di occupazione nelle fasce di età più avanzata sono bassi

L’Italia ha altresì esteso altre opzioni temporanee per il pensionamento anticipato che dovevano scadere nel 2020. Tra di esse figura la possibilità di andare in pensione a 63 anni con 30 anni di contributi per le persone disoccupate, i disabili o per coloro che prestano assistenza, o dopo 36 anni per le persone che svolgono professioni gravose. Ai lavoratori delle aziende in ristrutturazione è stata concessa una simile deroga, al fine di andare in pensione fino a sette anni prima dell’età pensionabile prevista dalla legge. La cosiddetta “Opzione donna”, inizialmente introdotta per un anno nel 2017, è stata prorogata fino alla fine del 2021 e, in base all’accordo con le parti sociali, sarà prolungata per il 2022. Questa opzione consente alle donne di andare in pensione a 58 anni (o 59 se lavoratrici autonome) dopo una carriera di 35 anni, ma le pensioni sono completamente calcolate in base alle regole NDC.

I lavoratori autonomi percepiranno pensioni molto più basse

Le diverse opzioni disponibili per andare in pensione prima dell’età pensionabile prevista dalla legge abbassano l’età media di uscita dal mercato del lavoro, pari mediamente a 61,8 anni contro i 63,1 anni della media OCSE. La concessione di benefici relativamente alti a pensionati “giovani” fa sì che la spesa pensionistica pubblica dell’Italia si collochi al secondo posto tra le più alte dei Paesi dell’OCSE, pari al 15,4% del PIL nel 2019. L’invecchiamento della popolazione sarà rapido e nel 2050 ci saranno 74 persone di età pari o superiore a 65 anni ogni 100 persone di età compresa tra i 20 e i 64 anni, il che equivale a uno dei rapporti più alti dell’OCSE. Negli ultimi 20 anni, la crescita dell’occupazione, anche attraverso carriere più lunghe, ha compensato più della metà della pressione dell’invecchiamento demografico sulla spesa pensionistica del Paese. Ciononostante, quest’ultima è aumentata del 2,2% del PIL tra il 2000 e il 2017. Per l’Italia l’incremento dell’occupazione continua a rivestire un’importanza cruciale, in particolare nelle fasce di età più avanzata.

Future pensioni elevate per i lavoratori con una carriera senza interruzioni, inferiori per gli altri

Il sistema pensionistico italiano abbina un’età legale di pensionamento alta a un’elevata aliquota contributiva del 33%, il che determina un elevato tasso di sostituzione netto dell’82% per i lavoratori con una carriera senza interruzioni e con salario medio, rispetto a un tasso del 62% in media nell’area dell’OCSE. Andando in pensione 3 anni prima, a 68 anni, il futuro tasso di sostituzione netto scende sostanzialmente al 72%, un valore che rimane alto in un confronto a livello internazionale. Tuttavia, non è possibile attendersi tassi così elevati di sostituzione per tutti i lavoratori. In Italia, una lavoratrice che inizia la sua carriera a 27 anni ed è disoccupata per 10 anni nell’arco della sua vita professionale riceverà una pensione inferiore del 27% rispetto a quella di una lavoratrice a tempo pieno, contro la media del 22% inferiore nell’area dell’OCSE. Inoltre, poiché le aliquote contributive dei lavoratori autonomi sono inferiori di un terzo rispetto a quelle dei dipendenti, i lavoratori autonomi possono aspettarsi pensioni inferiori di circa il 30% rispetto a quelle dei dipendenti con lo stesso reddito imponibile per tutta la carriera: la media OCSE è del 25% più bassa.