Digitalizzazione e professioni. La rivoluzione in atto

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La digitalizzazione dell’Italia non può prescindere dal pieno coinvolgimento del suo tessuto professionale, che quotidianamente abilita e garantisce il funzionamento e lo sviluppo del sistema Paese. Questo è quanto emerge dallo studio “I nuovi paradigmi del mondo delle professioni nella transizione digitale”, realizzato per Confprofessioni da The European House – Ambrosetti  e presentato a Roma nei giorni scorsi.

Uno studio che per i realizzatori della ricerca è “un ulteriore passo verso la valorizzazione del dibattito istituzionale sulle libere professioni. Le libere professioni costituiscono infatti un motore fondamentale del tessuto socioeconomico, capace di innescare e potenziare processi di innovazione su larga scala, se adeguatamente supportate da una corretta architettura pubblica e regolamentare e da un tessuto associativo capace di fungere da catalizzatore e scalare le competenze digitali sul territorio, facendosi portavoce delle esigenze di tutto il mondo professionale”.

Un mondo che fa i conti con un Paese dove “Malgrado gli sforzi prodotti da numerosi attori del rinnovamento, è ancora in ritardo sulla corsa alla digitalizzazione” eppure “Alla luce dei principali trend evolutivi del sistema economico, abilitati, accelerati e potenziati dalla digitalizzazione, anche le professioni sono chiamate a gestire in modo sempre più proattivo il cambiamento in atto relativamente sia all’organizzazione professionale sia alla relazione con il cliente. In sintesi, cambia il ruolo stesso del professionista nel mutato scenario socioeconomico”.

“In particolare, le professioni sono chiamate a dare risposte efficaci ai principali problemi attuali e prospettici del mondo professionale: la sostenibilità economica, l’attrattività e la capacità di ritenzione dei talenti per il ricambio generazionale, la competitività nel nuovo e più ampio panorama digitale, la capacità di fare sistema, l’adeguamento delle competenze e dei modelli organizzativi a nuove esigenze di mercato e a crescenti livelli di servizio richiesti dai clienti”.

Una rivoluzione che, leggendo lo studio, ha portato ad una “industrializzazione delle professioni”

Ad un “Passaggio dal paradigma del professionista indipendente a nuovi modelli di aggregazione tra professionisti, sempre più multidisciplinari, per gestire la complessità, organizzando competenze e mezzi secondo logiche di efficienza ed efficacia (anche aziendalistiche)”.

E se da una parte l’evoluzione della professione ha portato ad un “Ampliamento e dematerializzazione della collaborazione, la creazione di alternative alle aggregazioni fisiche (“hard”), caratterizzate da vantaggi e sinergie ma anche da importanti limiti (rigidità organizzative e di costo, inadeguatezza dei modelli regolamentari e fiscali), bypassando alcuni svantaggi mediante aggregazioni “soft”, dotate di maggior raggio d’azione (interazione con un numero ampio di professionisti specializzati) e flessibilità (esternalizzazione dei costi), dall’latra anche il rapporto con il cliente si è trasformato, evoluto.

“Da una relazione occasionale diretta con il cliente – si legge nell’abstract della ricerca – con una comunicazione necessariamente “on-demand” e dunque saltuaria e onerosa sia per il professionista (appuntamenti, servizi di segreteria, customer care, ecc.) che per il cliente, ad una relazione continuativa a costo pressoché nullo, per il tramite di interfacce digitali che consentono la gestione in tempo reale dei processi lungo ogni fase del customer journey, garantendo facilità di accesso alla prestazione (es. prenotazioni online), visibilità sulla documentazione disponibile (fatturazione, refertazione, ecc.) e sull’avanzamento del servizio (es. stato delle pratiche), e una gestione agevole del post-vendita (reclami, rimborsi”.

Dalle trasformazioni alle conseguenze della “democratizzazione” del sapere.

Nello studio si legge: “Il passaggio dal monopolio del sapere, in un passato in cui il sapere specialistico era costoso e localizzato nelle accademie e negli studi professionali, all’accessibilità del sapere, con l’abbattimento del suo costo e la sua diffusione (attraverso tutorials, corsi e materiali online), ha depotenziato il ruolo di guida del professionista, che è tenuto a qualificare con maggior incisività il valore aggiunto generato per il cliente”.

Ed infine “La perdita della centralità sociale a cui il professionista era abituato e il crollo della redditività dei servizi tradizionali impongono al professionista una riflessione sui temi della sostenibilità economica e del welfare e sulla sua nuova identità di soggetto economico nel mercato concorrenziale, che riposizioni la figura del professionista in termini di creatore di valore. Dunque, le professioni del futuro non possono che essere un network di soggetti economici capaci di organizzare asset e risorse per anticipare i bisogni del mercato ed erogare prestazioni consulenziali su tematiche complesse mantenendo una relazione continuativa con i clienti finali nell’ottica di massimizzare il valore generato e catturato”.

 

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