“Italia 2045. Una transizione demografica e razionale”

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Siamo sicuri che rallentare non possa essere un bene per tutti? Stiamo superando i limiti che il Pianeta ci concede? È possibile uno sviluppo della popolazione, della ricchezza e dei consumi infinito in un modo finito? Il mito della perenne crescita è compatibile con la preservazione della nostra casa comune, la Terra? E infine:siamo una società a misura d’uomo o una macchina dei consumi e del profitto? Sono le domande che pone il Presidente del Centro studi Itinerari Previdenziali, Alberto Brambilla, nel suo editoriale inviato alla nostra Newsletter. Interrogativi che affronta anche nel suo libro appena uscito. Leggendolo troveremo le risposte?

di Alberto Brambilla*

Nel 2023, per la prima volta dal 1961, la popolazione della Cina, Paese più popoloso al mondo con 1,41 miliardi di abitanti, è in diminuzione di circa 850mila unità. Anche in Europa, al netto di un 2020 condizionato dalla pandemia da SARS-CoV-2, la popolazione è diminuita nel 2021 da 447 milioni a 446,8: la riduzione maggiore si è registrata proprio in Italia (-253mila abitanti).

E così il calo delle nascite, dopo circa 78 anni di continua crescita, è diventato uno degli argomenti principali, ad alta “redditività di consenso”, dei 4 principali influencer del nostro tempo, vale a dire politica, sindacati, media e la Chiesa. Creato un certo allarmismo, però, nulla è stato (salvo la legge delega anziani, che si limita a distribuire denaro che ingrossa il già enorme debito pubblico italiano), per affrontare l’ineludibile transizione demografica cui il Paese sta andando incontro.

Niente formazione, prevenzione o piani per promuovere l’invecchiamento attivo; solo grida sulle culle vuote, sulla necessità di immigrati e timori per un’eventuale riduzione del PIL. Senza che nessuno ricordi che nel 1804 toccavamo il primo miliardo di esseri umani.

Ci sono dunque voluti 123 anni per raggiungere i 2 miliardi nel 1927 e più o meno così eravamo nel 1945, alla fine della Seconda Guerra Mondiale (2,2 miliardi).  A novembre 2022 eravamo 8 milioni, e oggi ancor di più. Nello stesso arco di tempo, il PIL mondiale è passato da 0,27 migliaia di miliardi di dollari a 102 migliaia di miliardi.

Al contempo, e non a torto, nelle stesse trasmissioni tv, sugli stessi organi di informazione o consessi nazionali e internazionali ci si allarma per il cambiamento climatico. Qualche dato: nel maggio 2021 i laboratori del NOAA hanno misurato che i livelli di anidride carbonica in atmosfera hanno toccato il record di 419,13 parti per milione, cioè il doppio dei livelli preindustriali e il valore più elevato degli ultimi 400mila anni. Dal 1927 a oggi le emissioni sono cresciute di oltre 9 volte, passando da 3,9 miliardi di tonnellate immesse in atmosfera a 36,7.

Ancora, rispetto ai livelli preindustriali, la temperatura terrestre è aumentata di 1,1°C: dal 1850 (anno di inizio delle misurazioni) tutti gli anni più caldi si collocano tra il 2000 e il 2022.

Ora, è bene precisare da subito che, in una scala da 1 a 10, ancora non sappiamo (perché ci manca la conoscenza) quanto il cambiamento climatico dipenda da fattori e cicli naturali e quanto dall’uomo: quello che è certo, come sostiene la maggior parte degli scienziati e dicono anche le Nazioni Unite, è che una parte consistente del problema dipenda comunque da noi, dall’abnorme crescita demografica e dalla distruzione di ecosistemi e biodiversità, necessaria a sostenere eccessivi e inutili consumi di massa.

Nel 2022 l’umanità ha consumato il 74% in più delle risorse che il Pianeta è in grado di rigenerare annualmente: ciò significa che ogni anno andiamo a debito e consumiamo 1,7 “Terre”, con l’Overshoot Day – pandemia a parteche cade sempre prima in calendario. Tutte ragioni per le quali gli scienziati parlano di un nuovo periodo geologico, l’Antropocene, proprio a sottolineare l’impronta umana nel cambiamento climatico.

Con tali premesse, siamo sicuri che rallentare non possa essere un bene per tutti? Per le donne, delle quali sostenere in primis emancipazione e parità (dopodiché ogni misura a favore della natalità è benvenuta), ma anche per l’economia, oggi viziata da un capitalismo deviato e mercatista che basa la sua esistenza sull’aumento della popolazione per aumentare i consumi. Nei prossimi anni saremo chiamati a importanti scelte e cambiamenti.

Senza dubbio, occorrerà superare il binomio collettivismo-capitalismo, imboccando una “terza via”, quella del capitalismo sociale e solidale, fondamentale per poter garantire la sopravvivenza collettiva. Una grande sfida da affrontare, intrecciata a quella demografica e ambientale, ma per la quale non sono utili né l’(eco)ansia né l’eccessiva superficialità.

Meglio semmai porsi le giuste domande: stiamo superando i limiti che il Pianeta ci concede?

È possibile uno sviluppo della popolazione, della ricchezza e dei consumi infinito in un modo finito? Il mito della perenne crescita è compatibile con la preservazione della nostra casa comune, la Terra?

E infine: siamo una società a misura d’uomo o una macchina dei consumi e del profitto?

E sono proprio questi allora gli interrogativi cui ho cercato di rispondere, rifuggendo da ideologie e luoghi comuni, nel mio ultimo libro “Italia 2045. Una transizione demografica e razionale”, edito da Guerini e Associati.

Un viaggio attraverso gli ultimi 78 anni della storia dell’umanità, per capire cosa è successo dal Secondo Dopoguerra fino ai giorni nostri, indagando demografia, economia, scienza e ambiente. Per capire meglio il presente e programmare il futuro valutando rischi e opportunità di un rallentamento da contrapporre alla “grande accelerazione” degli ultimi 45/50 anni di sviluppo vorticoso.

L’invito metaforico vuole essere quello di aprire l’ombrello (e correrei ai ripari) visto che ormai sta già piovendo. L’invecchiamento della popolazione è un fenomeno che ci accompagnerà almeno fino al 2045. Statistiche alla mano, a quella data, noi italiani saremo circa 55 milioni: 4 milioni di abitanti in meno, di cui 2 in età da lavoro. È allora tempo di ripararsi mettendo in campo tutte le azioni necessarie per trarre, se possibile, addirittura delle positività da questa fase storica, ripensando la società, la produzione, la distribuzione e i consumi.

Nella transizione “razionale”, forse saremo in meno nel 2045 ma certamente saremo meno assediati da pubblicità con un PIL pro capite maggiore, con più occupati e redditi più alti; sicuramente più felici e meno stressati.

*Presidente Centro studi Itinerari Previdenziali