Disastro sud. Il report Svimez e Save the children.

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Al Sud i servizi di prevenzione e cura sono più carenti, minore la spesa pubblica  sanitaria, più lunghe le distanze da percorrere per ricevere assistenza, soprattutto per le patologie
più gravi. Aumentare la spesa sanitaria è la priorità nazionale. Andrebbe inoltre corretto il metodo  di riparto regionale del Fondo Sanitario Nazionale per tenere conto dei maggiori bisogni di cura nei  territori a più elevato disagio socio-economico. L’autonomia differenziata rischia di ampliare le  disuguaglianze nelle condizioni di accesso al diritto alla salute. Queste le principali considerazioni  emerse dal Report SVIMEZ “Un Paese, due cure. I divari Nord-Sud nel diritto alla salute”,  presentato nei giorni scorsi a Roma in collaborazione con Save the Children.

E a parlare direttamente delle condizioni in cui viviono gli tialiani secondo la propria collocazione geografica sono due donne una calabrese e una emiliana, che affrontano la stessa patologia oncologica. Storie che riflettono la  realtà dei divari Nord-Sud nella qualità dei Sistemi Sanitari Regionali (SSR) e della conseguente  “scelta” di molti cittadini del Mezzogiorno di ricevere assistenza nelle strutture sanitarie del Centro  e del Nord, soprattutto per curare le patologie più gravi.

Divari che per Save the Children ha ribadito sono evidenti già a partire  dalla nascita. Sebbene nel panorama mondiale il Servizio Sanitario nazionale si posizioni come una
eccellenza per la cura dei bambini, sia dal punto di vista delle professionalità che della universalità  di accesso alle cure, le disuguaglianze territoriali sono molto accentuate.

Secondo gli ultimi dati  ISTAT disponibili, il tasso di mortalità infantile (entro il primo anno di vita) era di 1,8 decessi ogni  1000 nati vivi in Toscana, ma era quasi doppio in Sicilia (3,3) e più che doppio in Calabria (3,9). Già  prima della pandemia, il numero dei consultori familiari si era andato assottigliando, con la  conseguente carenza di presidi territoriali di prossimità fondamentali per sostenere la salute e il  benessere materno-infantile.

Dopo l’emergenza Covid-19 si arresta la crescita della spesa sanitaria e restano ampi i divari  territoriali

I divari territoriali sono aumentati in un contesto di generalizzata debolezza del Sistema Sanitario  che, nel confronto europeo, risulta sottodimensionato per stanziamenti di risorse pubbliche (in  media 6,6% del PIL contro il 9,4% di Germania e l’8,9% di Francia), a fronte di un contributo privato  comparativamente elevato (24% della spesa sanitaria complessiva, quasi il doppio di Francia e  Germania).

Dai dati regionalizzati di spesa sanitaria (di fonte Conti Pubblici territoriali) risultano
livelli di spesa per abitante, corrente e per investimenti, mediamente più contenuti nelle regioni  meridionali. A fronte di una media nazionale di 2.140 euro, la spesa corrente più bassa si registra in  Calabria (1.748 euro), Campania (1.818 euro), Basilicata (1.941 euro) e Puglia (1.978 euro). Per la  parte di spesa in conto capitale, i valori più bassi si ravvisano in Campania (18 euro), Lazio (24 euro)  e Calabria (27 euro), mentre il dato nazionale si attesta su una media di 41 euro.

Il monitoraggio  LEA (Livelli Essenziali di Assistenza), che offre un quadro delle differenze nell’efficacia e qualità  delle prestazioni fornite dai diversi SSR, fa emergere i deludenti risultati del Sud: 5 regioni del Mezzogiorno risultano inadempienti.

1,6 milioni di famiglie italiane in povertà sanitaria, di cui 700 mila al Sud In base alle recenti valutazioni del CREA (Centro per la ricerca economica applicata in sanità), sono
il 6,1% le famiglie italiane in povertà sanitaria, perché hanno riscontrato difficoltà o hanno
rinunciato a sostenere spese sanitarie. Nel Mezzogiorno la quota la povertà sanitaria riguarda l’8%  dei nuclei familiari, una percentuale doppia rispetto al 4% del Nord-Est (5,9% al Nord-Ovest, 5% al  Centro).

Speranza di vita minore al Sud di 1,5 anni: più alta anche la mortalità per tumore

Il Mezzogiorno, secondo gli indicatori BES (Benessere Equo e Sostenibile) sulla salute, è l’area del  Paese caratterizzata dalle peggiori condizioni di salute. Gli indicatori relativi alla speranza di vita  mostrano un differenziale territoriale marcato e crescente negli anni: nel 2022, la speranza di vita alla nascita per i cittadini meridionali era di 81,7 anni, 1,3 anni in meno del Centro e del NordOvest, 1,5 rispetto al Nord-Est. Analoghi differenziali sfavorevoli al Sud si osservano per la mortalità  evitabile causata da deficit nell’assistenza sanitaria e nell’offerta di servizi di prevenzione.

Il tasso di  mortalità per tumore è pari al 9,6 per 10 mila abitanti per gli uomini rispetto a circa l’8 del Nord. È  cresciuto il divario per le donne: 8,2 al Sud con meno del 7 al Nord; nel 2010 i due dati erano allineati.

Nel Mezzogiorno meno prevenzione oncologica

Secondo le valutazioni dell’Istituto Superiore di Sanità (ISS), nel biennio 2021-2022, in Italia circa il 70% delle donne di 50-69 anni si è sottoposta ai controlli: circa due su tre lo ha fatto aderendo ai programmi di screening gratuiti. La copertura complessiva è dell’80% al Nord, del 76% al Centro, ma scende ad appena il 58% nel Mezzogiorno. La prima regione per copertura è il Friuli-Venezia Giulia (87,8%); l’ultima è la Calabria, dove solamente il 42,5% delle donne di 50-69 anni si è sottoposto ai controlli. I dati relativi agli screening organizzati dai SSR confermano i profondi divari regionali nell’offerta di servizi che dovrebbero essere garantiti in maniera uniforme in quanto compresi tra i LEA.

La quota di donne che ha avuto accesso a screening organizzati oscilla tra valori compresi tra il 63 e il 76% in Veneto, Toscana, Emilia-Romagna, Friuli-Venezia Giulia, P.A. di Trento,
Umbria e Liguria e circa il 31% in Abruzzo e Molise. Le quote più basse si registrano in Campania (20,4%) e in Calabria, dove le donne che hanno effettuato screening promossi dal Servizio Sanitario sono appena l’11,8%, il dato più basso in Italia.

Mobilità sanitaria: è ‘fuga’ dal Sud, in particolare per le patologie più gravi. Il 22% dei malati oncologici del Sud si fa curare al Nord.

La “fuga” dal Sud per ricevere assistenza in strutture sanitarie del Centro e del Nord, soprattutto per le patologie più gravi. Nel 2022, dei 629 mila migranti sanitari (volume di ricoveri), il 44% era residente in una regione del Mezzogiorno. Per le patologie oncologiche, 12.401 pazienti meridionali, pari al 22% del totale dei pazienti, si sono spostati per ricevere cure in un SSR del Centro o del Nord nel 2022. Solo 811 pazienti del Centro-Nord (lo 0,1% del totale) hanno fatto il viaggio inverso.

È la Calabria a registrare l’incidenza più elevata di migrazioni: il 43% dei pazienti si
rivolge a strutture sanitarie di Regioni non confinanti. Seguono Basilicata (25%) e Sicilia (16,5%). Al Sud, i servizi di prevenzione e cura sono dunque più carenti, minore la spesa pubblica sanitaria, più lunghe le distanze da percorrere per ricevere assistenza.

Save the Children evidenzia numeri crescenti anche nelle migrazioni sanitarie pediatriche da Sud verso il Centro-Nord, segno di carenze o di sfiducia nel sistema sanitario delle regioni del Mezzogiorno: l’indice di fuga – ovvero il numero di pazienti pediatrici che vanno a farsi curare in una regione diversa da quella di residenza – nel 2020 si attesta in media all’8,7% a livello nazionale, con differenze territoriali che vanno dal 3,4% del Lazio al 43,4% del Molise, il 30,8% della Basilicata, il 26,8% dell’Umbria e il 23,6% della Calabria.

In particolare, un terzo dei bambini e degli adolescenti si mette in viaggio dal Sud per ricevere cure per disturbi mentali o neurologici, della nutrizione o del metabolismo nei centri specialistici convergendo principalmente a Roma, Genova e Firenze, sedi di Istituti di Ricovero e Cura a Carattere Scientifico (IRCCS) pediatrici.

L’autonomia differenziata in ambito sanitario aggrava le disuguaglianze interregionali

L’obiettivo dell’equità orizzontale della sanità è ulteriormente messo a rischio dal progetto di autonomia differenziata. Sulla base delle risultanze del Comitato per l’individuazione dei Livelli Essenziali delle Prestazioni, in particolare, tutte le Regioni a Statuto Ordinario potrebbero richiedere il trasferimento di funzioni, risorse umane, finanziarie e strumentali ulteriori rispetto ai LEA in un lungo elenco di ambiti: gestione e retribuzione del personale, regolamentazione dell’attività libero-professionale, accesso alle scuole di specializzazione, politiche tariffarie, valutazioni di equivalenza terapeutica dei farmaci, istituzione e gestione di fondi sanitari integrativi

La concessione di ulteriori forme di autonomia potrebbe determinare ulteriori capacità di spesa nelle Regioni ad autonomia rafforzata, finanziate dalle compartecipazioni legate al
trasferimento di funzioni e, soprattutto, dall’eventuale extra-gettito derivante dalla maggiore crescita economica. Tutto ciò, in un contesto in cui i LEA non hanno copertura finanziaria integrale a livello nazionale e cinque delle otto Regioni del Mezzogiorno risultano inadempienti, determinerebbe una ulteriore differenziazione territoriale delle politiche pubbliche in ambito sanitario. Con l’autonomia differenziata si rischierebbe dunque di aumentare la sperequazione finanziaria tra SSR e di ampliare le disuguaglianze interregionali nelle condizioni di accesso al diritto alla salute.