“Dobbiamo capire che ci troviamo in un mondo che va a una velocità molto maggiore rispetto a quello che abbiamo avuto negli anni passati. Io ho 50 anni, mi sono laureato 33 anni fa, si studiava su libri e materie che si basavano su quello che era successo negli anni precedenti per definire le regole con le quali bisognava regolare il futuro. Oggi quest’approccio non è più valido. Se noi vogliamo che il nostro paese e la nostra Europa facciano un salto di qualità, ci vuole tanto coraggio nel cambiare le regole con le quali si compete”. E’ questo l’incipit dell’intervento agli Stati Generali AdEPP dell’Amministratore delegato e Direttore generale del Gruppo Tim, Pietro Labriola.
“Provo a spiegarmi meglio – ha detto Labriola – e parto da tutta la tematica accennata sull’Intelligenza artificiale ossia siamo tutti scandalizzati sugli aspetti etici dell’IA. Quando io ero più giovane per avere una sintesi di quello che succedeva intorno a me guardavo Rai 1 Democrazia Cristiana, Rai 2 Partito Socialista, Rai 3 Partito Comunista, le reti Mediaset che davano la visione di un altro tipo e poi La7. Se volevo prenderlo dalla stampa leggevo Repubblica, il Corriere e il Sole 24 Ore e facevo la sintesi. Oggi i ragazzi come fanno ad avere una pluralità di voci che gli permette in maniera critica di intendere quello che succede? Non esiste. Quello che intendo dire è che i buoi sono già scappati. Quando abbiamo permesso i motori di ricerca, che sono basati sulla profilazione, noi abbiamo buttato le basi per un mondo che si polarizza verso gli estremi. Se io inizialmente ho una propensione per delle tematiche di destra o di sinistra, e non entro nel merito di ciò che è giusto e che è sbagliato, i motori di ricerca ti riportano sempre più informazioni in quel versante. Se tu vuoi cercare un punto di vista differente non lo trovi perché il motore di ricerca, i social ti spingono sempre di più verso gli streaming. L’attuale situazione politica in Italia, in Europa ma anche in America è probabilmente frutto di generazioni, e non solo giovani, spinti verso questa logica”.
E sugli Investimenti “quando ho cominciato a lavorare, il processo di investimenti era legato ad aspetti che erano puramente industriali, non ricordo allora che ci fossero aziende che avessero il bilancio grande quanto quello dello Stato. Ci troviamo oggi in un contesto nel quale abbiamo delle aziende che hanno capitalizzazioni in borsa che superano l’intera borsa italiana, dei bilanci che sono maggiori dello Stato. In questo contesto quando si parla di innovazione e competizione, come definisci le regole? Abbiamo azoende che hanno deciso di investire sull’Intelligenza Artificiale che senza colpo ferire riescono a sbloccare 2, 3, 4 miliardi in quel tipo di investimento, avendo peraltro un determinato ritorno economico. In passato c’era qualcuno che investiva in un’azienda che o chiudeva o andava bene. Oggi abbiamo i fondi di private equity che gestiscono un portafoglio di aziende e puntano sul fatto che una certa percentuale avrà successo e una certa no. La percentuale che non avrà successo viene remunerata da quelle che avranno successo. Nel fare questo però rischi di distruggere intere filiere industriali”.
“Se vogliamo che l’Italia e l’Europa facciano un salto di qualità – ha denunciato l’Ad di Tim – ci vuole coraggio nel cambiare le regole con le quali si compete. Faccio l’esempio di WhatsApp. Nessuno paga il suo servizio ma abbiamo permesso lo sviluppo di questo business senza modificare le regole. Una telefonata fatta con un operatore di TLC porta una serie di obblighi e regole. Tim deve avere operatori di call center 24 ore su 24, 7 giorni su 7. Ogni risposta costa 3 euro. WhatsApp no eppure consente di telefonare.
E per Labriola c’è anche un problema di tutela dei dati e della privacy, di come la gestiscono gli OTT (Over The Top) ossia la fornitura di contenuti Tv/video direttamente da Internet. Gli utenti non devono abbonarsi ad un servizio tradizionale via cavo o via satellitare per accedere a questi contenuti e possono guardali su vari dispositivi (tablet, cellulari, pc, televisione ecc…).
Ma se da una parte c’è il problema della privacy e del “governo” dell’informazione, dall’altra è indubbio che attraverso il web arrivino notizie di cure che sono sempre più avanzate. Come gestire la nuova “cultura sanitaria” e garantire a tutti non solo l’informazione ma le cure stesse?
Per Robert Nisticò, Presidente di Aifa, anche la salute e la cultura della cura sta attraversando una transizione e in questa “dobbiamo prevedere sicuramente un cambio di passo che non è solo un cambio di prassi ma di mentalità. Dobbiamo utilizzare schemi flessibili e moderni. Parliamo delle terapie avanzate. E’ stata approvata recentemente dall’Ema una terapia per la Beta-Talassemia, terapia che costa 3,5 milioni di dollari, in Italia circa 2,9 milioni di euro a terapia. Questi numeri spaventano ma in realtà vanno visti nella loro ottica. Intanto sono terapie dette eziologiche cioè potenzialmente risolutive, molte sono genetiche. Ovvero riusciamo oggi, soprattutto di fronte ad un bisogno clinico insoddisfatto, ad andare dove non ci sono alternative terapeutiche, dove ci sono bambini che muoiono, ed avere la possibilità di avere terapie veramente risolutive e quindi sarebbe non etico non darle. Noi dobbiamo garantire un accesso equo, universale e nello stesso tempo in un quadro di sostenibilità. Ora ce lo possiamo permettere? Beh intanto se vedete queste terapie sono molto costose ma vanno a risolvere alcuni problemi e la qualità della vita di queste persone”.
“Il punto è che non possiamo permetterci di pagarle a tutti. Allora ci vogliono degli schemi flessibili. Noi siamo un paese molto avanzato ma per certi versi un po’ arretrato rispetto ad altri paesi europei. Guardo la Germania, la Francia che sicuramente hanno sistemi organizzativi diversi. Perché, ad esempio, non dare una terapia e prevedere uno schema di pagamento come il mutuo? Magari che si basa sul risultato. A volte queste terapie sono provate su pochissimi pazienti, non conosciamo l’efficacia e la sicurezza a lungo termine, quindi noi dobbiamo anche prevedere un pagamento sulla base dei risultati”.
“In ultimo – ha sottolineato Nisticò – noi dobbiamo rendere queste terapie gestibili il giorno dopo che vengono approvate da Ema. Queste sono procedure centralizzate quindi approvate dall’Agenzia per i medicinali europei. Non possiamo permettere che aspettiamo 1, due, tre anni, a causa delle procedure burocratiche, affinché queste terapie vadano al letto del paziente. Dobbiamo renderle subito disponibili, prevedere con algoritmi (che mettiamo in piedi sulla base del tipo di malattia, la prevalenza della malattia, le cure terapeutiche) uno schema per cui magari l’industria chiede 100, noi gli diamo 80, ci mettiamo d’accordo sul prezzo, e prevediamo un conguaglio per cui il pagamento arriva all’industria dallo Stato. Ma intanto curi subito il paziente e risparmi. Paradossalmente questa è un’ottica di risparmio oltre chiaramente etica”.
“Sono tutte situazioni allo studio – ha concluso il Presidente Aifa – e che richiedono una non rigidità e flessibilità del sistema. Una sburocratizzazione. Sono temi politici, economici, sociali non semplici ma l’agenda che io ho in mente è mettere il cittadino e la salute del paziente al centro al centro della nostra azione”.
Ma la scienza ha bisogno di investimenti per andare avanti così come il nostro Paese. E le Casse di previdenza ci sono.
Per Massimo Tononi, Presidente di Bpm “Il ruolo delle Casse è innanzitutto quello di svolgere una funzione sussidiaria. Hanno una disponibilità di capitale molto importante – credo che oggi il loro Patrimonio superi i 100 miliardi – e il ruolo di sostenere l’economia reale, in particolare del nostro Paese. È apprezzabile che le Casse investano gran parte del loro patrimonio soprattutto in Italia. Investono anche nella banca che io qui rappresento, Banco BPM, e di questo sono molto lieto. Oggi le Casse valgono circa l’8% del nostro capitale, sono soci stabili che ci hanno consentito di essere oggi una public company e di svolgere il nostro mestiere con maggiore efficacia e serenità. Sono importanti per noi e noi lo siamo per loro: ormai siamo arrivati a un valore di mercato della loro quota pari a 800 milioni e abbiamo appena distribuito loro 80 milioni di dividendi”.
“L’obiettivo che allinea Banco BPM alle Casse – ha sottolineato il Presidente di Bpm – è di investire nell’economia reale. Per una banca radicata sul territorio questa è la principale motivazione della sua operatività. Le Casse lo fanno con una prospettiva di lungo periodo nell’ottica della sostenibilità, che non è solo ambientale, ma anche sociale e addirittura demografica”.
Come è cambiato il ruolo delle Casse in questi 30 anni?
“Innanzitutto, guardando numeri si vede una crescita importante del loro Patrimonio, questo è sicuramente un aspetto rilevante che non è comune ad altre categorie, diciamo degli investitori istituzionali. Poi sull’assetto normativo so che vi sono molti dibattiti in corso, sulla natura delle Casse non mi pronuncio. Quello che io ho constatato anche oggi che io presiedo una banca che è partecipata da molte Casse è una professionalità che forse non si riscontrava in passato ma anche in merito alle tipologie di investimento. Poi ripeto c’è questa sensibilità spiccata delle Casse alla sostenibilità che è qualcosa che coinvolge tutti noi in quanto a cittadini, noi e i nostri figli, di questo pianeta che credo sia un valore aggiunto con molte implicazioni anche complicate per le imprese da gestire ma è un valore aggiunto”.
Quali sono le difficoltà nella gestione dei capitali a causa dei vincoli e delle diverse realtà territoriali?
“Una volta si diceva che gli americani innovano, i cinesi copiano, gli europei regolamentano. Per quanto riguarda la Cina sicuramente oggi la definizione è riduttiva perché non si limitano di fatto a copiare, non è certamente riduttiva per gli europei. In Europa ci sono tanti, tantissimi regolamentatori accaniti, il che è apprezzabile ma sarebbe altrettanto apprezzabile se rivolgessero altrettanto impegno nella costituzione del mercato dei capitali che consenta alle imprese di acquisire quelle dimensioni critiche che oggi in Europa non abbiamo. Vi ricordo qualche dato. La capitalizzazione della borsa di Milano vale 0,5% di quella complessiva del mondo. Microsoft da sola vale 4 volte la borsa di Milano, per parlare esclusivamente dell’Italia ma il discorso è molto più ampio perché riguarda l’Europa nel suo complesso. Nelle prime 50 imprese europee per capitalizzazione in borsa non ve ne sia neppure 1 italiana. E se voi guardate alle prime 500 aziende del mondo per fatturato, la lista predisposta da e ce ne sono 5 italiane, la Svizzera e l’Olanda ne hanno il doppio. La Francia ne ha 24. Quindi c’è una arretratezza dimensionale delle imprese italiane e anche europee impressionante. La più grande azienda europea vale 500 miliardi. Poca cosa rispetto ai colossi americani. Quindi quando si parla del miliardo ipotizzato dal nostro Governo io credo che ci stiamo prendendo in giro. La fotografia oggi è quella che ho delineato prima, è una fotografia sconfortante, legata a questa tendenza a regolamentare dell’Europa che è apprezzabilissima se venisse condivisa anche dalle altre realtà del mondo. Cosa che invece non succede”.
Per Tononi infine c’è il tema della sostenibilità “perché quello è un altro ambito dove rischiamo di perdere competitività in quanto Europa. Voi sapete che è stata approvata di recente una direttiva sul report sostenibilità che riguarda le imprese e progressivamente in base alle dimensioni negli anni a venire, adeso un’altra sulle due diligence di sostenibilità, documenti assolutamente meritevoli che però rischiano di indebolire la nostra competitività nel sistema industriale perché sovrappongono a norme già esistenti una serie di metriche, di tassonomie , di parametri estremamente invasivi. Io credo che si volgiamo giustamente attribuire all’impresa una responsabilità sociale e su questo non obietto ma deve essere compatibile con le dinamiche competitive a livello globale. Se non lo fanno anche gli altri diventa difficile poi per l’Europa competere. Il mercato unico dei capitali, ne parliamo dal 2015, non si è fatto niente in sostanza. Abbiamo 27 regolatori diversi di 27 borse diverse, più o meno, abbiamo 27 sistemi diversi fiscali, diritti fallimentari, e potrei andare all’infinito. Il risultato, le dimensioni delle, imprese inadeguate alla competizione globale. La fotografia è drammatica e sconfortante, dobbiamo lavorare per il futuro, qualcuno lo continua a menzionare, vogliamo mercati più fluidi come quelli americani, dove le imprese possono crescere magari anche con uno spirito imprenditoriale diverso, anglosassone, per cui il fallimento non è uno stigma ma è un passaggio naturale dell’evoluzione dell’imprenditorialità, facciamolo presto perché veramente il treno rischia di essere già passato nel frattempo”.
Sul mercato dei capitali è intervenuta anche Gelsomina Gigliotti, Vice presidente BEI.
“Abbiamo come obiettivo sostenere il mercato dei capitali e quindi le PMI, non solo quelle tradizionali, manifatturiere ma anche le start up e quelle che investono sull’innovazione. Investiamo quindi sull’idea. Ovviamente siamo tutti consapevoli su quello che è il fabbisogno necessario a finanziare la transizione tecnologica, ecologica, economica. Le risorse pubbliche non saranno mai sufficienti. Perché i bilanci pubblici devono far fronte a tantissime esigenze. In Italia abbiamo dei grossi disavanzi. Quindi il settore privato ha un ruolo fondamentale che però non è semplicemente un ruolo filantropico. Ovviamente investendo in questo tipo di attività, ci sono anche dei ritorni importanti. Ed è per questo che il FEI ha proprio un pilastro di attrazione delle risorse che vengono dal settore privato”.
“Un settore privato che soprattutto in Italia è rappresentato dalle Casse e dai Fondi pensione che hanno da gestire delle risorse importanti che da una parte possono sostenere l’economia reale e dall’altra fornire dei rendimenti a volte molto superiori a quelli che possono essere dati da investimenti a reddito fisso. Ma c’è una certa divisione e poca comunità di intenti tra i vari paesi sulla regolamentazione. Se avessimo un’unità dei capitali questa sarebbe fondamentale per dare molto più vigore all’economia europea. Siamo tutti consapevoli del ritardo rispetto a grandi temi come quello delle telecomunicazioni, dell’Intelligenza artificiale, nonostante ci siano in Europa delle storie di successo, di cui non riusciamo a beneficiare. In Europa ci sono delle start up innovative di grandissimo valore, capace di crescere, ma non ci sono investitori sufficientemente grandi per andarle a sostenere e che diventano prede di altri finanziatori, Stati Uniti, Asia eccetera”.
“La critica che ci viene mossa in Italia quando una startup fallisce è che non la facciamo morire. Tantissime sono le idee che vengono presentate ma restano prettamente scientifiche senza riuscire a fare il salto del business. Dobbiamo individuare le carenze, il mancato collegamento tra università e imprese e con quali competenze manageriale debbano essere accompagnate”.
“La globalizzazione non si può fermare e non per decreto. Dobbiamo creare – ha concluso la Vice presidente Bei – dobbiamo far si che il mercato unico europeo funzioni e veramente. Eliminando lo scollamento tra una volontà politica e i fatti”.