Informazione, un polo per la previdenza sotto l’Inpgi”, così titola il Corriere della Sera che in un articolo, a firma Fabio Savelli, parla di “Un emendamento alla legge di Bilancio, che trova consensi nella maggioranza giallo-verde propone la confluenza della categoria dei comunicatori (pubblici e privati) nell’istituto di previdenza dei giornalisti”.
“Sarebbe – scrive Savelli – una rappresentazione più adeguata dei tempi che cambiano. Un riordino che parte da un presupposto. C’è una categoria priva di riconoscibilità eppure fondamentale nel mondo dell’informazione che in questi ultimi 15 anni ha vissuto una rivoluzione copernicana complice l’impatto di Internet sui media e sul modo di fare giornalismo. Parliamo dei circa 20 mila professionisti della comunicazione, che lavorano nelle aziende private e negli enti pubblici, nelle agenzie di pubbliche relazioni e nel mondo della politica. Lavorano in una filiera sempre più strutturata, intermediari delle notizie pubblicate da giornali, radio, siti ed emittenti. Rappresentano una professione non ordinistica e versano i loro contributi all’Inps seppur prestano la loro attività in un settore affine a quello dei giornalisti che sono sotto il cappello previdenziale dell’Inpgi”.
“Un emendamento alla legge di Bilancio, che trova consensi nella maggioranza giallo-verde (il dossier è nelle mani del sottosegretario al Lavoro, Claudio Durigon) propone la confluenza della categoria dei comunicatori (pubblici e privati) nell’istituto di previdenza dei giornalisti, ora guidato da Marina Macelloni. Per chi svolge l’attività come lavoratore autonomo l’iscrizione sarebbe prevista alla gestione separata dell’Inpgi, ora destinata a raccogliere i giornalisti non contrattualizzati come i freelance”.
Ed ancora
“Per i conti pubblici ci sarebbe solo uno spostamento di risorse: l’uscita di 130 milioni di contributi ora versati all’Inps, quindi al settore pubblico, che affluirebbero all’Inpgi stabilizzandone i conti. Di contro il passaggio del settore giornalistico a quello pubblico, semmai fosse ipotizzato in futuro, peserebbe sui costi dell’erario e dell’Inps quattro-cinque volte di più: circa 600-700 milioni. “