Nonostante il Governo italiano abbia vietato i licenziamenti nel periodo di lockdown, il sole non brilla certo nel nostro Paese. E neppure nel resto dell’Eurozona. Secondo le stime Eurostat, nel mese di aprile, il secondo mese durante il quale sono state messe in atto le misure di lockdown a causa del coronavirus, il tasso di disoccupazione corretto delle variazioni stagionali, si è stabilito a 7,3% nell’eurozona, in aumento al 7,1% registrato a marzo. Per l’Istat sempre meno persone “cercano lavoro”.
Eurostat stima che oltre 14milioni di uomini e donne nell’Unione europea, di cui 11,919 milioni nell’area dell’euro, fossero disoccupati nell’aprile 2020. Rispetto a marzo 2020, il numero di disoccupati è aumentato di 397.000 unità nell’UE e di 211.000 nella area dell’euro.
Nella Ue a 27 il tasso di disoccupazione è stato pari a 6,6% sempre ad aprile, in aumento rispetto al 6,4% di marzo. In Italia è pari al 6,3%. I dati più alti in Spagna (14,8%), Lettonia (9%) e Cipro (8,9%).
Per quanto riguarda la disoccupazione giovanile (meno di 25 anni) sempre ad aprile si è stabilita al 15,4% nella Ue a 27 e al 15,8% nella zone euro, contro il 14,6% e il 15,1% a marzo. In Italia è stata pari al 20,3%. I dati più alti in Spagna (33,2%), Lussemburgo (24,7%), Svezia (24,4%).
Per l’Italia l’Istat ha rilevato un 6,3%: si rafforza il calo delle persone non occupate in cerca di lavoro già registrato a marzo, con una ulteriore forte crescita dell’inattività.
La diminuzione dell’occupazione (-1,2% pari a -274mila unità) è generalizzata ma con un ma… le donne sono le più colpite. Se il numero degli occupati è calato percentualmente in maniera analoga (-1% per gli uomini e -1,5% per le donne), il dato sui disoccupati evidenzia che, in un solo mese è calato di quasi un terzo il numero di donne in cerca di un impiego (-30,6%) a fronte del 17,4% degli uomini.
Rispetto invece alla posizione professionale e al carattere dell’occupazione, il calo in valore assoluto è molto più marcato tra i dipendenti (-205mila) rispetto agli indipendenti (-69 mila), anche se in termini percentuali la flessione è superiore per i secondi (-1,3% contro il -1,1%). Tra i primi spicca poi il drastico calo degli occupati a termine, in calo di 129 mila unità rispetto al -76mila dei cosiddetti “permanenti”, cioè a tempo indeterminato.