Sanità, salute e l’economia pubblica

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L’emergenza che il Paese sta affrontando ha reso più evidente, ove ve ne fosse stato bisogno, l’importanza di poter contare su una assistenza sanitaria efficiente e in grado di rispondere a minacce rese più insidiose da un sistema economico sempre più aperto e globalizzato. E’ quanto contenuto nella sintesi del Rapporto sul coordinamento della finanza pubblica della Corte dei Conti.

Il Rapporto ripercorre i cambiamenti intervenuti a partire dalla crisi finanziaria di inizio decennio: la graduale riduzione della spesa pubblica per la sanità e il crescente ruolo di quella a carico dei cittadini; la contrazione del personale a tempo indeterminato e il crescente ricorso a contratti a tempo determinato o a consulenze; la riduzione delle strutture di ricovero ospedaliere e l’assistenza territoriale; il rallentamento degli investimenti. Ne emerge un quadro molto articolato anche per quanto riguarda la salute e la sanità pubblica. Leggiamo…..

È evidente che il successo registrato in questi anni nel riassorbimento di squilibri nell’utilizzo delle risorse non ha sempre impedito il manifestarsi di criticità, che oggi è necessario superare: si tratta delle differenze nella qualità dei servizi offerti nelle diverse aree del Paese; delle carenze di personale dovute ai vincoli posti nella fase di risanamento, ai limiti nella programmazione delle risorse professionali necessarie ma, anche, ad una fuga progressiva dal sistema pubblico; delle insufficienze dell’assistenza territoriale a fronte del crescente fenomeno delle non autosufficienze e delle cronicità; del lento procedere degli investimenti, sacrificati a fronte delle necessità correnti. Difficoltà che sono rese, in prospettiva, più acute per il crescente squilibrio demografico e il conseguente onere destinato a gravare sui lavoratori.

È ben noto che tra soli 20 anni, guardando alle previsioni, il rapporto passerà a un pensionato ogni due persone in età da lavoro, diminuendo la ricchezza generata e le risorse pubbliche a disposizione a fronte di un aumento dei bisogni di salute e assistenza . Inoltre, il calo delle risorse disponibili per il pensionamento delle generazioni oggi più giovani suscita forti interrogativi sulla possibilità, anche in futuro, di porre a carico dei cittadini quote crescenti di spese sanitarie, e soprattutto sociosanitarie, non coperte dal SSN.

Alla crescita di tale quota di consumi, solo in parte da ricondurre a difficoltà di accesso al servizio pubblico dovute a liste d’attesa o squilibri nel regime tariffario, ha contribuito l’invecchiamento della popolazione e l’aumento dei casi di non autosufficienza (che richiedono non solo assistenza nelle attività di vita quotidiana, ma anche una presa in carico delle patologie croniche sempre più diffuse) e una maggiore consapevolezza di quanto alcuni comportamenti siano correlati al mantenimento della salute.

A ciò si è aggiunto (e ancora più si aggiungerà del prossimo futuro) lo sviluppo delle cure innovative e della robotica, che aprono spazi nuovi per più efficaci modalità di cura. Una tendenza che rischia di accentuare le differenze tra cittadini, a seconda delle aree territoriali e delle condizioni economiche.

Di qui, la necessità di interrogarsi su quali scelte adottare, ben sapendo che potenziare il finanziamento del sistema pubblico comporta di riconsiderare con attenzione il ricorso, finora risultato prevalente, a misure che implicano trasferimenti monetari diretti o minori prelievi fiscali. Ma anche considerando che l’esercizio di controllo della spesa che ha caratterizzato questi anni, all’interno di una dotazione di risorse per la garanzia dei livelli essenziali di assistenza decisa anche in rapporto ad altri obiettivi ritenuti in alcuni casi prevalenti, deve essere mantenuto proprio per evitare che, come accaduto in passato, inefficienze e cattiva gestione non consentano di tradurre l’aumento dei finanziamenti destinati al sistema sanitario in effettivi servizi al cittadino. Di qui anche la necessità di proseguire sul sentiero riproposto dal Patto della salute, sottoscritto lo scorso dicembre, per un potenziamento della capacità di programmazione della spesa a livello di comunità territoriali. A questo sono orientati i progetti avviati in questi anni, che possono contare su una quantità di informazioni e di conoscenze che fanno del sistema sanitario un elemento di punta nel quadro nazionale.

Negli ultimi due anni sono divenuti più evidenti gli effetti negativi di due fenomeni diversi che hanno inciso sulle dotazioni organiche del sistema di assistenza: il permanere per un lungo periodo di vincoli alla dinamica della spesa per personale e le carenze, specie in alcuni ambiti, di personale specialistico. A seguito del blocco del turn-over nelle Regioni in Piano di rientro e delle misure di contenimento delle assunzioni adottate anche in altre Regioni (con il vincolo alla spesa), il personale a tempo indeterminato del SSN è fortemente diminuito. Al 31 dicembre 2018 era inferiore a quello del 2012 per circa 25.000 lavoratori (circa 41.400 rispetto al 2008). Tra il 2012 e il 2017 il personale (sanitario, tecnico, professionale e amministrativo) dipendente a tempo indeterminato in servizio presso le Asl, le Aziende Ospedaliere, quelle universitarie e gli IRCCS pubblici si è ridotto di poco meno di 27 mila unità (-4 per cento).

Nello stesso periodo, il ricorso a personale flessibile, in crescita di 11.500 unità, ha compensato questo calo solo in parte. La riduzione del personale ha assunto caratteristiche e dimensioni diverse tra Regioni in Piano di rientro e non. Nelle prime, il personale a tempo indeterminato si è ridotto di oltre 16.000 unità, ma con differenze accentuate tra regioni: riduzioni particolarmente forti (tra il 9 e il 15 per cento) nel Molise, nel Lazio e in Campania a cui sono riferibili riduzioni. Solo poco inferiori quelle di Calabria e Sicilia, mentre Abruzzo e Puglia hanno contenuto di molto le riduzioni, soprattutto considerando gli incrementi del personale a tempo determinato. Nelle Regioni non in Piano la flessione è stata molto più contenuta (-2,4 per cento). Nel periodo, il personale medico si è ridotto di oltre 3.100 unità (-2,9 per cento), mentre l’infermieristico di poco meno di 7.400 (-2,7 per cento). 

Negli ultimi anni, inoltre, i vincoli posti alle assunzioni in sanità, pur se resi necessari dal forte squilibrio dei conti pubblici del settore, hanno aumentato le difficoltà di trovare uno sbocco stabile a fine specializzazione e un trattamento economico adeguato. Ciò è alla base della fuga dal Paese di un rilevante numero di soggetti: negli ultimi 8 anni, secondo i dati Ocse, sono oltre 9.000 i medici formatisi in Italia che sono andati a lavorare all’estero. Regno Unito, Germania, Svizzera e Francia sono i mercati che più degli altri hanno rappresentato una soluzione alle legittime esigenze di occupazione e adeguata retribuzione quando non soddisfatte dal settore privato nazionale (Tavola §7.5). Una condizione che, pur deponendo a favore della qualità del sistema formativo nazionale, rischia di rendere le misure assunte per l’incremento delle specializzazioni poco efficaci, se non accompagnate da un sistema di incentivi che consenta di contrastare efficacemente le distorsioni evidenziate.

La crisi ha messo in luce anche, e soprattutto, i rischi insiti nel ritardo con cui ci si è mossi per rafforzare le strutture territoriali, a fronte del forte sforzo operato per il recupero di più elevati livelli di efficienza e di appropriatezza nell’utilizzo delle strutture di ricovero.

Se aveva sicuramente una sua giustificazione a tutela della salute dei cittadini la concentrazione delle cure ospedaliere in grandi strutture specializzate riducendo quelle minori che, per numero di casi e per disponibilità di tecnologie, non garantivano adeguati risultati di cura (la banca dati Esiti da questo punto di vista ne forniva una chiara evidenza), la mancanza di un efficace sistema di assistenza sul territorio ha lasciato la popolazione senza protezioni adeguate.

Se fino ad ora tali carenze si erano scaricate non senza problemi sulle famiglie, contando sulle risorse economiche private e su una assistenza spesso basata su manodopera con bassa qualificazione sociosanitaria (badanti), finendo per incidere sul particolare individuale, esse hanno finito per rappresentare una debolezza anche dal punto di vista della difesa complessiva del sistema quando si è presentata una sfida nuova e sconosciuta.

È, infatti, sempre più evidente che una adeguata rete di assistenza sul territorio non è solo una questione di civiltà a fronte delle difficoltà del singolo e delle persone con disabilità e cronicità, ma rappresenta l’unico strumento di difesa per affrontare e contenere con rapidità fenomeni come quello che stiamo combattendo.

L’insufficienza delle risorse destinate al territorio ha reso più tardivo e ha fatto trovare disarmato il primo fronte che doveva potersi opporre al dilagare della malattia e che si è trovato esso stesso coinvolto nelle difficoltà della popolazione, pagando un prezzo in termini di vite molto alto.

Una attenzione a questi temi si è vista nell’ultima legge di bilancio con la previsione di fondi per l’acquisto di attrezzature per gli ambulatori di medicina generale, ma essa dovrà essere comunque implementata superata la crisi, così come risorse saranno necessarie per gli investimenti diretti a riportare le strutture sanitarie ad efficienza.