Cnpadc. Le nuove sfide per difendere i professionisti

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di Sandro Villani*

Tutelare il lavoro dei propri iscritti e identificare strumenti nuovi per riuscirci deve tornare a essere una priorità per Ordini, Casse e Associazioni che si occupano della tutela del mondo dei professionisti. Siamo di fronte a un rischio sempre più elevato di dispersione di questo patrimonio di professionalità e non solo perché, in questo momento, i professionisti si trovano ad affrontare uno scenario economico repentinamente mutato e sull’orlo della recessione – senza avere a disposizione strumenti adeguati, incentivi e indennità concessi ad altri soggetti economici – ma anche per una tendenza, che era già in atto ben prima dell’inizio della pandemia: la scelta di molti, soprattutto dei più giovani, di abbandonare il percorso professionale.

Da una parte il redivivo mito del posto fisso continua ad attrarre molti giovani che si affacciano nel mondo del lavoro e che vedono in un impiego a tempo indeterminato una serie di tutele che, di fatto, sono sempre meno concrete. Basti pensare alle ricadute in tema di ridimensionamento delle indennità che si avrebbero nel caso in cui lo smart working si trasformasse, come molti prevedono, da situazione di emergenza a contesto usuale di lavoro.

D’altra parte, pesano anche le difficoltà affrontate dai professionisti “marginali”, ovvero quelli che, a causa dell’andamento di costi e spese fisse, dall’affitto degli studi a tutti gli altri oneri operativi, non riuscirebbero a sopravvivere al di sotto di un certo livello di fatturazione. In entrambi i casi è importante cercare di non perderli, evitando che seguano la tentazione di assunzioni che molto spesso, in cambio di tutele incerte, si rivelano oltretutto poco soddisfacenti, quasi al limite dello sfruttamento, motivo in più per riaffermare, a tutela della fede pubblica, i valori fondanti delle professioni quali l’indipendenza e il decoro.

Cosa si può fare? Quali sono gli strumenti che un Ente di Previdenza può mettere in campo per mantenere e motivare i propri iscritti?

Il primo passo dovrebbe essere, a mio parere, quello di sostenere l’avvio del percorso professionale con costi contenuti, dando vita a una casa comune che possa essere un punto di riferimento per chi sceglie il lavoro autonomo. Sarebbe bello poter istituire, in collaborazione tra Casse di previdenza, Ordini, Università e mondo imprenditoriale, dei veri e propri incubatori professionali, in cui far vivere ai giovani l’esperienza di nuovi ambiti e nuove modalità di esercizio della professione, sotto la guida e la supervisione di colleghi esperti in specifiche materie, avendo a disposizione strumenti, spazi fisici, banche dati, ma anche e soprattutto l’opportunità di confrontarsi con modelli organizzativi e procedure operative all’avanguardia

Bisogna spingere su innovazione e organizzazione per rispondere tempestivamente alle nuove esigenze dei mercati e coglierne le opportunità correlate. Un modo per accompagnare i neo-professionisti valorizzando al tempo stesso le expertise già avviate e creando sinergie che possano poi portare a ulteriori sviluppi di business.

In questo senso anche le aggregazioni possono rivestire un ruolo fondamentale per il rilancio della professione e il sostegno reddituale, anche se comportano ancora costi piuttosto alti da sostenere nell’immediato e purtroppo non possono contare su forme di incentivazione. Certamente, però, il primo passo da compiere dovrebbe andare nella direzione di una maggiore caratterizzazione del nostro reddito come reddito di lavoro, lavoro intellettuale e altamente qualificato, senza la discriminazione che l’aggettivo “autonomo” continua, ingiustificatamente, a comportare rispetto a ai lavoratori dipendenti.

*Vice Presidente Cassa Dottori Commercialisti