Capitale umano e formazione, la ripresa parte da qui

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di Francesco Verbaro*

La ripresa inizia dal capitale umano e quindi dalla sua formazione e potremmo dire dalla buona formazione. I numeri drammatici del DEF ci dicono che dobbiamo necessariamente darci da fare – investire in infrastrutture e in capitale umano. Solo così saremo sostenibili. L’obiettivo è riprendere a crescere, ma non certo a tassi da “zero virgola” come nella fase precedente allo scoppio della pandemia.

Dopo il prolungamento delle politiche passive (cassa integrazione e sostegno al reddito) dovremo necessariamente attivare le politiche attive. Finora abbiamo comprato tempo, ma non abbiamo fatto nulla per organizzare un sistema di politiche attive.

Il contesto delineato dall’Istat è certamente drammatico: in un anno, un milione di occupati in meno e 700 mila inattivi in più. Non si tratta oggi di salvare i singoli posti, ma di rafforzare l’occupabilità dei lavoratori perché tante saranno comunque le transizioni e non possiamo certamente aumentare i giovani pensionati, tanto meno l’esclusione sociale degli inattivi. A luglio ci sarà la fine del blocco dei licenziamenti, ma al contempo avremo oltre 220 mld di risorse tra Pnrr e Fondo complementare, un’occasione unica per rilanciare il Paese attraverso riforme ed interventi economici rilevanti.

In Italia non abbiamo politiche attive adeguate, tranne in qualche regione, le quali non dipendono tanto dalle risorse, ma dalla capacità amministrativa.  L’Anpal dovrebbe essere oggetto di un piano di potenziamento e non di polemiche e di ulteriori incertezze sul destino. Le regioni del mezzogiorno sono mediamente sempre più deboli e le istituzioni formative non sempre adeguate, come conferma la domanda insoddisfatta di competenze specialistiche proveniente dal mondo delle imprese. Nel frattempo permangono i pregiudizi nei confronti delle strutture private e delle agenzie per il lavoro. Sarebbe assurdo in un momento di “pandemia occupazionale” non potenziare le strutture esistenti e non attivare tutti i soggetti, specie se competenti, che operano nel mercato del lavoro. La presa in carico, l’assessment, i servizi di orientamento e formazione saranno fondamentali nei prossimi mesi.

Con l’accelerazione della transizione ecologica e di quella digitale, avremo un effetto destruens ed un effetto costruens sul mercato del lavoro. Quello destruens è certo: molte competenze diventeranno velocemente obsolete. Quello costruens dipenderà, oltre che dagli investimenti, dalla qualità della formazione e dalla capacità di coprire e formare le nuove competenze richieste dal mercato. Ciò richiederà capacità di anticipazione e di lettura previsionale rispetto a cosa sarà il lavoro nei prossimi anni.

In questo contesto, dobbiamo investire nel miglioramento dell’offerta formativa e nel superamento dell’autoreferenzialità che caratterizza il mondo della formazione, che può realizzarsi attraverso un rapporto forte tra formazione, impresa e ricerca. Attenta al capitale umano e alla sua valorizzazione e quindi professionale e non erogata da soggetti improvvisati; attenta ai risultati e quindi alle competenze create e certificate; con indicatori di successo collegati al placement.

Come è emerso in un recente webinar organizzato dal fondo Forma.Temp,  una formazione meglio orientata dai dati, data driven, sarebbe certamente migliore. L’accesso ai dati e l’elaborazione dei dati diventa cruciale per la buona formazione. Per migliorare la programmazione dei corsi e per monitorare ex post l’efficacia degli stessi. Occorre puntare sul data analysis, l’HR analytics, l’analisi dei mercati avanzati e delle innovazioni. Consentiamo, soprattutto agli enti di formazione finanziata, di accedere ai dati Inps e di Anpal sul mercato del lavoro.

La transizione digitale inoltre interesserà anche il mondo della formazione attraverso un utilizzo diffuso delle aule virtuali sincrone e asincrone o l’impiego dei digital badge, per certificare le competenze e responsabilizzare imprese e lavoratori. La modalità digitale di erogare la formazione non deve essere la semplice trasposizione della formazione dell’aula fisica nella modalità on line. E’ risultato chiaro, inoltre, come testando piattaforme e metodologie di trasferimento delle conoscenze on line dobbiamo indirizzarci verso soluzioni ibride che uniscano il fisico e il digitale. La formazione da remoto inoltre dovrà essere in grado di accompagnare il lavoro da remoto e prevenire e  compensare i rischi di esclusione e isolamento che questo comporta.

Giusto politicamente, puntare, su più strumenti come il fondo nuovo competenze (FNC), le nuove modalità di erogazione della formazione su piattaforma; la certificazione delle competenze, o l’investimento sugli ITS. Interessante altresì l’Avvio dell’Industry Academy e delle “Scuole di mestiere”. Servono più strumenti e di qualità, rispetto ai diversi target e alle grandi sfide. Necessario quindi mobilitare e ben coordinare tutti i soggetti che si occupano dello sviluppo del capitale umano.

Su questo il ruolo dell’Anpal e delle regioni sarà centrale. L’emergenza occupazionale di fronte alla quale siamo ci vede in condizioni peggiori rispetto a quelle in cui si è trovata la sanità a marzo 2020. Serve pertanto un patto tra Stato e regioni e tra pubblico e privato per mettere al centro subito la più importante delle politiche attive: la buona formazione.

*Senior advisor AdEPP