Melandri, Social Impac Agenda “Questa è una crisi da non sprecare”

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“Non si tratta solo della ripresa. Ripartire dopo la pandemia come se niente fosse accaduto sarebbe iniquo intanto perché stiamo prendendo a prestito dalle future generazioni risorse importanti con i piani europei” sottolinea, nella sua intervista pubblicata su Affari& Finanza, Giovanna Melandri, ex ministro della Cultura, poi delle Politiche Giovanili, fondatrice e presidente dal 2012 di Human Foundation, l’organizzazione che promuove un nuovo modello di “Impact Economy” a sostegno dell’impresa e della finanza a impatto sociale e ambientale in Italia.

“Un modello di sviluppo senza giustizia sociale e ambientale non è più umano – afferma la Melandri – Sta crescendo e sta sviluppandosi nel mondo un grande movimento che spinge per un’autoriforma del capitalismo: così com’è oggi non funziona, non è in grado di curare il pianeta, sanare le grandi ingiustizie sociali e le disuguaglianze. La impact economy è quella rivoluzione gentile che potrebbe assumere a breve l’importanza del New Deal, è la possibile exit strategy alle crisi ambientali e sociali in corso, la forma evoluta del capitalismo che bisogna riformare da dentro, il possibile paradigma che ci permetterà di attuare gli obiettivi dell’Agenda 2030 dell’Onu”.

In concreto – chiede il giornalista – come funziona la impact economy, cosa aggiunge e cosa cambia nel mondo dell’economia e della finanza?

“E’ la forza creatrice di una nuova asset class di investimenti e di un nuovo modello di politiche pubbliche. Per gli economisti che come me sono cresciuti con il paradigma keynesiano obbliga a una precisazione: gli investimenti non vanno visti solo come uno strumento di moltiplicazione della ricchezza ma vanno guardati con una lente a tre dimensioni, a quelle tradizionali del rischio e del rendimento finanziario si deve aggiungere strutturalmente quella dell’impatto ambientale e sociale generato”.

Ed ancora. “Quando ho costruito Human Foundation 10 anni fa questo linguaggio sembrava ostrogoto. Mentre adesso c’è un grande movimento internazionale che si riconosce nel Global Steering Group for impact investment, la rete di cui fa parte anche la nostra Social Impact Agenda. Oggi la rete è presente in 33 Paesi e sta veramente cominciando a spostare capitali importanti. Dieci anni fa gli investimenti erano ancora fermi a 50 miliardi di dollari, oggi siamo arrivati a 750 miliardi, c’è una spinta inesorabile in questa direzione, che coinvolge sia la finanza privata che quella pubblica”.

“La polarizzazione delle società con l’aumento delle disuguaglianze e le difficoltà di tenuta dei sistemi di welfare richiedono una risposta coordinata e su grande scala. Io credo che nella impact economy ci sia la risposta a questa sfida, e non è solo quantitativa, è soprattutto una sfida qualitativa sulla formazione del valore”.

E l’Italia in particolare come si sta ponendo rispetto a questa sfida?, chiede ancora il giornalista

“Per l’Italia si apre un’occasione storica con la presidenza del G20 nel 2021 per spingere questa agenda in avanti, fermando le grandi crisi climatiche e l’aumento delle disuguaglianze. La impact economy è un’agenda di governo, che sfida finanza pubblica e finanza privata. Una cosa concreta? Far sì che gli investitori istituzionali godano di fiscalità di vantaggio per gli investimenti in aziende che intenzionalmente abbiano obiettivi di impatto. Un criterio che vale anche per i fondi pensione e per tutte le forme di risparmio gestito”. E sul Recovery Fund. Giovanna Melandri non ha dubbi.

“Queste risorse che l’Unione Europea sta attivando devono invece essere spese con grande responsabilità, perché le stiamo chiedendo in prestito alle nuove generazioni. Non un euro deve essere speso senza la valutazione d’impatto. Come ha detto anche Papa Francesco, questa è una crisi da non sprecare, il Covid-19 ha accelerato le trasformazioni in atto. Non si può tornare indietro a una “normalità” che già aveva prodotto problemi molto gravi. Va invece avviato un ciclo di investimenti sostenibili, e la Pubblica Amministrazione deve aiutarci, diventando fattore abilitante di una nuova strategia di collaborazione, e non di rallentamento o di intralcio come è successo in passato”.