La Commissione pubblica la relazione trimestrale sull’area dell’euro: impatto dell’inflazione e della demografia e le prospettive di crescita

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E’ stata pubblicata, il 16 maggio, la relazione trimestrale sull’economia dell’area dell’euro (QREA). L’analisi condotta dalla Direzione generale ECFIN della Commissione esamina le caratteristiche dell’inflazione e le sue conseguenze sociali, le determinanti della carenza di manodopera nel breve e lungo periodo, le prospettive di crescita della produttività a lungo termine e gli effetti diretti della pandemia COVID-19 sulle esportazioni nell’area dell’euro.

Nonostante gli shock eccezionalmente negativi, l’area dell’euro non è incappata in una recessione invernale, avendo ristagnato nell’ultimo trimestre del 2022 e registrato una crescita lievemente positiva nel primo trimestre del 2023. Secondo le previsioni di primavera della Commissione la crescita dell’area dell’euro dovrebbe essere pari all’1,1 per cento nel 2023 e all’1,6 per cento nel 2024. L’economia sarà sostenuta dall’attuale parziale inversione dello shock dei termini di scambio dovuto al calo dei prezzi dell’energia, che andrà progressivamente a beneficio di tutti i settori economici nazionali. Tuttavia, la spesa per i consumi rimarrà contenuta fino al 2024, poiché i guadagni del potere d’acquisto si concretizzeranno solo gradualmente. Anche l’inflazione complessiva nell’area dell’euro dovrebbe rallentare dall’8,4 per cento nel 2022 al 5,8 per cento nel 2023 e al 2,8 per cento nel 2024.

La persistenza nell’area dell’euro di un’inflazione ben al di sopra del 2 per cento nel 2023, nonostante la forte riduzione dell’inflazione energetica, è dovuta principalmente a un ritardato passaggio della passata impennata dei prezzi dell’energia – in particolare del gas e dell’elettricità – all’inflazione di fondo, combinata con le restanti pressioni sui prezzi legate alla pandemia, ma anche alla forza record dei mercati del lavoro e alla resistenza dei margini unitari delle imprese.

Dato il forte calo del potere d’acquisto delle famiglie, è importante analizzare l’impatto dell’inflazione elevata sul tessuto sociale. Poiché nell’ultimo anno l’inflazione è stata trainata principalmente dall’impennata dei prezzi dell’energia e dei generi alimentari, la struttura della spesa per consumi rimane cruciale nel determinare la vulnerabilità delle famiglie all’attuale andamento dei prezzi, in particolare perché la quota di questi beni di base è maggiore nel paniere consumato dalle famiglie a basso reddito.

A questo proposito, la sezione I del rapporto mostra che l’impatto dell’inflazione è particolarmente diseguale tra i quintili di reddito in alcuni Stati membri. Il reddito familiare e altri fattori individuali costituiscono importanti determinanti delle variazioni del costo della vita affrontate dalle famiglie nell’area dell’euro. La struttura della spesa rivela differenze sostanziali anche tra gli Stati membri. Grazie a metodi statistici e nuovi dati innovativi, gli esperti della Commissione sono in grado di affermare che, in assenza di misure politiche di compensazione e a salari costanti, la deprivazione materiale e sociale e la povertà monetaria assoluta sono aumentate in modo sostanziale nel 2022. Allo stesso tempo, il mercato del lavoro dell’area dell’euro ha continuato a registrare ottimi risultati, con il tasso di disoccupazione al minimo storico del 6,1 per cento fino alla fine del 2022.
Con la rapida ripresa economica del 2021 e la forte performance economica del 2022, le carenze di manodopera segnalate nel 2019 soprattutto nei servizi sono riemerse rapidamente nei paesi dell’area dell’euro, a indicare il ruolo svolto dal ciclo economico nel determinare la carenza di manodopera.

In questo contesto, la Sezione II della relazione mostra che, oltre ai fattori ciclici, la carenza di manodopera è determinata anche da altri fattori quali: l’invecchiamento, la carenza di competenze, i cambiamenti nei modelli di mobilità del lavoro, la migrazione e le cattive condizioni di lavoro in alcuni settori e occupazioni.
Con la rapida ripresa economica del 2021, la carenza di manodopera è riemersa rapidamente. La mancanza di manodopera è stata segnalata in diversi settori, soprattutto quelli ad alta intensità di lavoro. Non si tratta di un fenomeno nuovo, poiché già nel 2019 erano state segnalate carenze elevate, il cui calo durante la pandemia è stato solo temporaneo. Dopo l’inizio dell’invasione dell’Ucraina da parte della Russia, la carenza di manodopera nell’UE ha continuato ad aumentare, soprattutto nei servizi, con alcuni segnali di diminuzione nel rallentamento economico registrato a fine del 2022.

Tra le carenze di competenze, rilevano in particolare le competenze digitali, divenute essenziali a causa dell’accelerazione della digitalizzazione nel corso della pandemia. Secondo la Commissione, le politiche che affrontano le cause strutturali della carenza di manodopera sono necessarie per garantire che le prospettive di crescita non siano ostacolate nel medio e lungo termine. In particolare, queste politiche dovrebbero sostenere le transizioni del mercato del lavoro per migliorare l’efficienza dell’incontro tra domanda e offerta di lavoro e anticipare i potenziali squilibri di competenze derivanti dalle due transizioni. Le politiche che sostengono la partecipazione al mercato del lavoro e la riallocazione possono contribuire a ridurre le carenze. Inoltre, anche le politiche di mobilità del lavoro e di migrazione possono contribuire a ridurre le carenze di competenze. Tuttavia, la mobilità lavorativa all’interno dell’UE può solo ridistribuire le carenze tra gli Stati membri, poiché la scarsità in alcune professioni è diffusa.
Le politiche dell’UE sostengono un’ampia gamma di azioni che possono essere utilizzate per ridurre le carenze di manodopera, in particolare nell’ambito del Piano d’azione del Pilastro europeo dei diritti sociali, del Semestre europeo e degli strumenti e fondi dell’UE quali: lo Strumento di ripresa e resilienza (RRF), il Fondo sociale europeo Plus (FSE+) e il programma Invest EU.

Il terzo capitolo analizza, quindi, il calo tendenziale della produttività totale dei fattori nell’area dell’euro. Un simile declino si riscontra anche in altre economie sviluppate. I dati più recenti indicano un rallentamento delle prospettive a medio termine. Le opinioni prevalenti in letteratura sulle prospettive di crescita della produttività nel lungo periodo sono diverse: a) una visione negativa suggerisce che l’innovazione è diventata semplicemente meno trasformativa. Di conseguenza, non dovremmo aspettarci un ritorno permanente a un percorso di crescita più elevato; b) una visione più ottimistica ritiene che la crescita della produttività totale dei fattori rimbalzerà inevitabilmente una volta che le nuove tecnologie rivoluzionarie saranno pienamente sviluppate, gli investimenti complementari e i cambiamenti organizzativi saranno stati effettuati e la forza lavoro avrà acquisito tutte le new skills necessarie. A questo scopo, dovranno essere utilizzate al meglio le opportunità offerte dai programmi dell’UE, come NextGenerationEU e Horizon Europe, che possono non solo facilitare la diffusione dell’innovazione esistente ma, anche, favorire la creazione di un’innovazione trasformativa a sostegno della duplice transizione verde e digitale.

Nel quarto ed ultimo capitolo del rapporto, si esamina l’impatto diretto della pandemia di COVID-19 sulle esportazioni di beni e servizi degli Stati membri dell’area dell’euro. Il calo iniziale delle esportazioni aggregate dell’area dell’euro verso il resto del mondo è stato più netto e repentino durante la pandemia che durante la crisi globale, ma anche la successiva ripresa è stata più rapida. Le esportazioni di servizi sono state colpite più duramente di quelle di beni, soprattutto all’inizio della crisi, a differenza di quanto avvenuto nella crisi finanziaria globale, quando la quota dei servizi sul totale delle esportazioni era aumentata fortemente.
Concentrandosi sulle misure di blocco che hanno interessato le interazioni sociali, le operazioni commerciali, l’attraversamento delle frontiere da parte delle persone e le infrastrutture di supporto logistico, l’analisi econometrica suggerisce che le misure di blocco hanno avuto un impatto negativo diretto significativo sulle esportazioni, ma con un impatto sulle esportazioni di beni in media pari solo a circa due terzi dell’impatto sulle esportazioni di servizi. L’analisi suggerisce inoltre che l’impatto delle misure di blocco si è affievolito nel tempo, suggerendo che gli agenti economici hanno imparato ad affrontare ogni nuova ondata di infezioni.
Per quanto riguarda le esportazioni di servizi, l’impatto diretto negativo più forte delle misure di blocco si è registrato in Spagna e Portogallo, seguiti da Italia e Grecia, tutti Stati membri con un settore turistico molto importante.
Per le esportazioni di beni, l’impatto negativo più forte si registra per Italia, Portogallo, Francia e Spagna. Le stime suggeriscono anche che la vaccinazione ha avuto un impatto positivo significativo sulla ripresa delle esportazioni di servizi.

 

Per consultare la relazione